La risposta ragionevole alla malattia è il morire con dignità, non la morte!

Ogni volta che mi sono dovuto confrontare su temi chiamati ’eticamente sensibili’ (ma quale tema etico non lo è?) la principale difficoltà incontrata era quella di rimanere sul piano dell’argomentazione razionale. I diversi punti di vista, le diverse sensibilità possono incontrarsi, chiarirsi a vicenda e diventare prassi condivisa solo se passano attraverso la fatica di una intelligenza condivisa. Il mondo delle emozioni non è estraneo alla ragione umana, anzi le emozioni la promuovono, perché chiedono di essere riconosciute nel loro valore conoscitivo. Riconoscere il valore dell’emozione è atto sommamente razionale.
Un’argomentazione non astratta, storicamente incarnata nelle vicende personali degli uomini e tuttavia ragionevole, cioè comunicabile e condivisibile, è il processo necessario per una vita comune capace di rispetto delle persone. Senza la fatica di costruire la migliore qualità razionale, dia-logica nell’argomentazione etica, si finisce per lasciar spazio a quelle ragioni che invece di riconoscere e valutare il sentimento vengono da questo assoggettate. Senza ragioni mosse da sentimenti l’uomo non può agire, ma un conto è agire in forza di un sentimento condotto a ragione, un altro conto è agire in forza di una ragione assoggettata dal sentimento, che cede all’arbitrio ovvero alla violenza.
Che per un sentimento amoroso si possa essere violenti è la possibilità tragica attestata dall’esperienza quotidiana; che tale sentimento possa chiamarsi amore è negato dalla violenza stessa che produce. La tentazione di rispondere con violenza al male è costantemente presente nella vita degli uomini e dei popoli, ma il cedimento ad essa ne costituisce il carattere tragico. Così al male della malattia che violenta con la sofferenza la persona umana nello spirito e nel corpo, non si può rispondere con la morte che colpisce la persona, ma con il sollievo della sofferenza, che colpisce invece la malattia. La cultura etica condivisa conosce ragioni che non si sottomettono all’arbitrio dell’emozione di ’farla finita con la vita perché è troppo carica di sofferenza’: sono quelle ragioni che dirigono l’emozione verso il ’farla finita con la sofferenza’ perché è contraria alla vita.

Non si tratta di un gioco di parole ma della distinzione essenziale per il rispetto della dignità umana tra uccidere (eutanasia) e lasciar morire in pace (cure palliative e rifiuto di trattamenti inutili). Ragionevole è l’alleanza terapeutica tra i soggetti responsabili della cura: il paziente, gli operatori sanitari, la famiglia o comunità sociale.
La risposta ragionevole alla malattia è il morire con dignità, non la morte! Non cogliere questa essenziale differenza significa cedere alla tentazione che alla violenza si possa rispondere solo violentemente.
Ci sono situazioni così drammatiche, legate all’attuale sviluppo tecnologico delle terapie, che chiedono uno sforzo maggiore di solidarietà da parte di tutti verso il malato, non perché debba soffrire, non perché debba morire, ma perché viva al meglio un tempo che non si deve prolungare: non si deve togliere ma solo curare. Entro questi due parametri (cure palliative e rifiuto di trattamenti inutili) – non astrattamente ma nella concreta situazione delle relazioni umane – gli alleati nella cura sapranno scegliere ragionevolmente il meglio.

don Franco Gismano, Dirett. Istit. Teologico Interd.  Gorizia – Udine – Trieste

(foto archivio AgenSir)