Ambiente: vicini al punto di non ritorno di don Franco Gismano

Sessant’anni fa gli interessi economici e politici di uomini di potere, uniti alla spregiudicatezza tecnocratica, hanno causato quella che fu definita la più grande strage che si poteva evitare prodotta dall’uomo: la tragedia del Vajont. Non la si evitò, perché gli interessi e il prestigio di alcuni non dovevano essere compromessi. Così morirono quasi duemila persone e si distrussero migliaia di storie familiari e interi paesi furono sommersi da un’immensa valanga di acqua e fango. Cambiò per sempre l’intera geografia della valle del Vajont, al confine fra Friuli Venezia Giulia e Veneto.Quella catastrofe appare oggi come il miglior monito nei confronti di coloro che in nome del progresso non rispettano l’ambiente naturale, quella creazione che papa Francesco nella sua ultima esortazione apostolica Laudate Deum ricorda essere la casa comune degli uomini e di Dio con loro. A otto anni dalla lettera enciclica Laudato si’, considerata da alcuni come ’una voce nel deserto’ perché ancora troppo poco ascoltata dagli attori principali delle economie mondiali, papa Francesco punta il dito contro il cinismo di coloro che non vogliono credere nella responsabilità dell’uomo nei confronti dell’accelerazione del cambio climatico e delle sue conseguenze sociali. Conseguenze che ricadono maggiormente sui paesi e le popolazioni più povere del mondo. Il dito è però puntato anche verso coloro che, pur riconoscendo la responsabilità dell’uomo nell’attuale cambiamento climatico, non hanno il coraggio di mettere in atto stili e politiche di vita rispettose dell’ambiente. Nessuno, ricorda papa Francesco, si deve sentire esonerato dalla responsabilità nei confronti dell’ambiente naturale di cui fa parte con la sua costruzione sociale. Natura e società appartengono alla stessa condizione ambientale e creaturale, crescono o muoiono insieme. L’egoismo utilitaristico dell’uomo, che l’esortazione apostolica chiama tecnocrazia, deve essere riconosciuto nelle attuali politiche economiche e condannato in nome della vita di tutti gli esseri viventi.Se le conseguenze nefaste di politiche e prassi tecnocratiche non possono più essere evitate e il cambiamento climatico non può essere fermato, è possibile e doveroso rallentarlo con cambiamenti di rotta repentini e drastici. Ma per mettere in atto questi necessari e coraggiosi cambiamenti occorrono politiche così forti che solo nuove forme di multilateralismo potrebbero auspicabilmente essere in grado di attuare. Nuovi rapporti fra stati fondati sulla fiducia e sulla solidarietà. Nuove e rinnovate istituzioni politiche internazionali non guidate dagli interessi dei più forti ma orientate al bene comune e con effettiva forza legale nei confronti degli stati.Siamo vicini ad un punto di non ritorno nella degenerazione dell’ambiente umano-naturale.E che non capiti come nella tragedia del Vajont allorché ci si accorse troppo tardi che il livello nell’acqua del bacino creato artificialmente aveva superato il limite di sicurezza nel caso del cedimento di una parte del monte Toc. Quel cedimento fu procurato dall’acqua stessa del bacino.Il punto di non ritorno della buona qualità di vita del pianeta, come purtroppo la storia insegna, sarà innanzitutto il cedimento della fiducia nella relazione fra i popoli, alimentato dall’acqua torbida delle politiche di controllo e sopraffazione del più forte sul più debole. È la guerra economica prima e militare poi ad essere la peggiore devastazione del pianeta.