16 settembre 1976: il terremoto non arrestò l’uscita di Voce

Giovedì 16 settembre 1976 è una giornata speciale: per la prima volta da solo mi trovo a impaginare “Voce”. Don Maffeo e don Renzo, presi da altri impegni, mi hanno affidato il compito di chiudere il giornale. Ma il 16 settembre è una giornata speciale perchè il giorno prima un secondo violento terremoto ha messo in ginoccchio il Friuli. Ancora rovine e paura. Arrivo in tipografia e i banconi sono vuoti.Neppure una colonna di piombo è stata composta, le linotype sono ferme. Che fare? Il giornale deve uscire. Non posso che in quel mio primo impegno di responsabilità rinunciare all’uscita di “Voce”. I tipografi tornano sui banconi, le linotype si mettono in moto e iniziano a sfornare le colonne di piombo, le pagine cominciano, articolo dopo articolo, lentamene a formarsi fino a quando nel tardo pomeriggio vengono chiuse.”Voce” e la tipografia sono state la mia scuola di giornalismo. Mi hanno permesso di acquisire quelle cognizioni tecniche che mi sono tornate utili quando, poi, qualche anno più tardi, il giornalismo è diventato la mia professione.Oggi nelle redazioni si lavora al computer e la videoimpaginazione ha sostituto i banconi nelle tipografie. In campo giornalistico in questi anni si sono fatti passi da gigante, una vera rivoluzione tecnologica: macchine da scrivere, linotype, clichè e piombo sono diventati archeologia gironalistica. E’ un processo irreversibile destinato ancor più a rinnovarsi tanto che i giornali cartacei tra twitter, internet, ipad, facebook si dice che abbiano un futuro sempre più incerto.Confesso, però, che ogni tanto mi manca quell’odore dell’inchiostro che caratterizzava la tipografia quando le pagine di “Voce” si componevano e si ricomponevano seguendo un approssimativo menabò disegnato su fogli millimetrati e con tanto di colonne.Ma “Voce” era anche qualcos’altro, era davvero la voce delle comunità espressioni di quella Chiesa locale che il Concilio Vaticano II aveva vivacizzato. Il giornale cercava di interpretare le esigenze e i bisogni della gente, delle comunità prendendo anche delle posizioni scomode che non poche volte si scontravano con quelle del “potere”. Si cercava in quegli anni Settanta di fare giornalismo di inchiesta, pur con i poveri mezzi a disposizione, in un mondo dell’informazione ingessato e paludato. Cito un caso: “Voce” denunciò – eravamo a metà degli anni Settanta – chi utilizzava tessere e servizi gratis alla spiaggia di Grado. Si sollevarono proteste e lamentele traversali, ma il giornale tirò dritto. Sono passati 40 anni e non mi risulta che altri abbiano avuto lo stesso coraggio. “Voce” faceva discutere, faceva opinione. Andavi in Consiglio comunale e scoprivi i consiglieri intenti a leggere il nostro settimanale.La scuola, i giovani, i fermenti ecclesiali, l’impegno missionario della Chiesa goriziana, dibattiti a più voci, dialoghi che cercavano di uscire dagli steccati dei propri orticelli per cercare, non senza fatica, di far crescere la coscienza critica dei lettori.Non era facile. Si faceva fatica, ma c’era tanto entusiasmo.