“Fanciulla, io ti dico: àlzati!”
Due miracoli; uno nell’altro. Domina la scena la persona di Gesù, sereno e consapevole in mezzo alla folla, di fronte alla donna che gli si accosta nascondendosi o accanto alla pena di Giàiro per la morte della figlia. Gesù è attento, premuroso, nelle parole come nel silenzio imposto; tutto di lui stupisce, non solo il […]
27 Giugno 2024
Due miracoli; uno nell’altro. Domina la scena la persona di Gesù, sereno e consapevole in mezzo alla folla, di fronte alla donna che gli si accosta nascondendosi o accanto alla pena di Giàiro per la morte della figlia. Gesù è attento, premuroso, nelle parole come nel silenzio imposto; tutto di lui stupisce, non solo il segno prodigioso compiuto lasciando sfiorare il proprio mantello o toccando la mano della fanciulla morta. La donna e Giàiro si gettano entrambi ai suoi piedi, con dolore e fiducia.
La prima, malata da sempre e inutilmente curata, si accosta e si incolla a Gesù nascondendosi alle sue spalle, temendone lo sguardo, impaurita e tremante per il tentativo di rubargli il miracolo della guarigione.
Gesù invece si volta, la cerca in mezzo alla calca, la individua e ne addita la fede alla folla. Non solo le dona la guarigione, ma le parla volto a volto.
L’incontro personale con Gesù è un miracolo forse ancora più grande.
Eusebio di Cesarea nella sua Storia Ecclesiastica, terminata nel 324, scrive di una statua del Salvatore in bronzo voluta in segno di gratitudine dalla donna emorroissa guarita da Gesù, collocata davanti alla sua casa nella città di Paneas o Cesarea di Filippo e vista personalmente dall’autore stesso.
“Su un alto masso davanti alla porta di casa, già abitazione dell’emorroissa, si erge una statua di bronzo di una donna che piega il ginocchio, con le mani protese nell’atteggiamento di persona che implora; dirimpetto ad essa, si erge un’altra immagine della medesima materia riproducente un uomo in piedi, che splendidamente avvolto in un manto, tende la mano alla donna… Si dice che tale statua raffigura Gesù.
È rimasta fino ai nostri giorni; l’abbiamo veduta con i nostri occhi, nel nostro soggiorno in quella città” (Eusebio, Storia Ecclesiastica VII, 18).
La morte della sua piccola schianta il cuore del padre, ma Giàiro – non i presenti che passano con disinvoltura dallo falso strepito del pianto alla derisione sarcastica – crede a Gesù che gli chiede di continuare ad aver fede.
Per Gesù il sonno è prossimo alla morte, perché entrambi premessa della vita portata dall’ordine di risvegliarsi e risuscitare gridato nella lingua materna dell’aramaico: talità kum: alzati!
Il Vangelo narra tre rianimazioni di morti compiute da Gesù durante la vita pubblica: il figlio della vedova di Naim, la figlia di Giàiro, l’amico Lazzaro.
Come altre tipologie di miracoli, anche questa si ripete nella storia della Chiesa. Dall’antichità ad oggi si ha notizia di circa 400 rianimazioni. Alcune di queste sono documentate e attendibili.
Gesù non è tornato alla vita di prima, come la figlia di Giàiro, il figlio della vedova e Lazzaro di Betania, che sono stati da lui rianimati. Non è tornato indietro; è andato avanti.
La fede fa incontrare e guarisce, salva e vince la morte. La risposta alla grande domanda su Gesù, verrà alla fine, per bocca del centurione pagano che ne ha comandato l’esecuzione: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!”.
Anche il Vangelo di oggi ci porta a toccare Gesù e ad essere da lui presi per mano nel solo modo possibile, con la fede che lo riconosce risorto e Signore che dà la vita.
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