Smartworking

La notizia di questi giorni la proroga della modalità di lavoro agile (cosiddetto “smart working”) nel mondo del lavoro privato sino alla fine del marzo 2024 e di contro la conclusione nel pubblico (almeno come misura prevista dallo Stato). Una decisione che nasce già vecchia lì dove si è deciso di consentire misure di conciliazione […]

7 Dicembre 2023

La notizia di questi giorni la proroga della modalità di lavoro agile (cosiddetto “smart working”) nel mondo del lavoro privato sino alla fine del marzo 2024 e di contro la conclusione nel pubblico (almeno come misura prevista dallo Stato).
Una decisione che nasce già vecchia lì dove si è deciso di consentire misure di conciliazione casa-lavoro come strumento stabile del welfare aziendale e di competitività delle Aziende che, strette in una morsa senza precedenti di penuria di candidati, cercano di aumentare il proprio appeal garantendo benefit extra, permessi, premi, agevolazioni e, appunto, lo smart working.
Qualcosa nel mondo del lavoro è infatti definitivamente cambiato, i lavoratori hanno preso maggiore consapevolezza di volere una vita con maggior equilibrio e benessere e anche il tiro alla fune sulle paghe, troppo smunte rispetto al costo della vita, è destinato a durare ancora poco sotto i colpi dei continui rifiuti che i giovani assestano a povere offerte di lavoro. Fino a una trentina di anni fa, difatti, c’erano “un milione di ragazzi” che avrebbero potuto ambire ad un posto di lavoro e che si sfidavano con master ed esperienze in una lotta competitiva senza esclusione di colpi.
Oggigiorno, invece, soprattutto nei settori tecnici e tecnologici, i giovani mancano.
Ogni anno, solo in Friuli Venezia Giulia, non nascono 1.500 bambini rispetto all’anno precedente e questo si ripercuote con 1.500 candidati in meno che entrano nel mondo del lavoro; un trend che tra l’altro ha avviato le lancette da almeno 10 anni a questa parte e che non si arresta impietoso nonostante i timidi aiuti della finanza pubblica alle famiglie.
Gli imprenditori corrono ai ripari come possono dunque, per acquisire e soprattutto non perdere le proprie maestranze.
In questo crocevia, le indicazioni provenienti dall’”alto” paiono del tutto tardive, fuori tempo massimo rispetto ad una società che corre all’impazzata e che, tra l’altro, dividono il mondo del lavoro tra pubblico e privato come se le stesse disposizioni non valessero per entrambi. Come se il lavoro “a risultato”, sottostante allo smart working e valevole a quanto pare solo per il privato, non funzionasse per il pubblico, allontanando così di fatto, e ulteriormente, dopo anni di indiscutibili abusi di inefficienza, la qualità lavorativa dei lavoratori stessi. Tra l’altro, in un ragionamento ipotetico e portato all’estremo, se restasse questa differenza nel medio-lungo periodo, comporterebbe l’attrazione al mondo del lavoro pubblico solo dei lavoratori impossibilitati o incapaci al raggiungimento di risultati tangibili e viceversa la capacità di risultati verso il lavoro privato.
Un disastro. Il mondo del lavoro e la società, in un connubio chiuso in uno strettissimo abbraccio, cambiano insieme ed al centro devono mettere la risorsa più preziosa e sempre di più rara: i giovani, che pretendono tra l’altro una visione nuova delle cose, delle regole e dell’ambiente. E non è un caso che anche il semplice “smart working”, misura tanto sminuita dalle generazioni più adulte, sia diventata invece un perno fra le loro richieste per una vita improntata ad un maggior benessere.
Personale oltre che lavorativo.