Pellegrino di pace in cerca di fraternità

Trentatreesimo viaggio apostolico di Papa Francesco, dopo più di un anno di interruzione a causa della pandemia. Un viaggio – quello in Iraq – fortemente voluto da Francesco e da tanto tempo rinviato a motivo dell’emergenza epidemiologica ma di più per l’instabilità politica che funesta il Medio Oriente e in particolare l’Iraq. Un viaggio di ben quattro giorni che ci ha tenuto davvero con il fiato sospeso come poche altre volte nella storia recente. Un viaggio con il sapore della speranza, della ricostruzione e del dialogo interreligioso come premessa per la pace. Con queste parole il Papa in un videomessaggio prima della partenza si è autodefinito “pellegrino penitente”, nello spirito e con le intenzioni della sua ultima Enciclica Fratelli tutti. “Vengo come pellegrino, come pellegrino penitente per implorare dal Signore perdono e riconciliazione dopo anni di guerra e di terrorismo, per chiedere a Dio la consolazione dei cuori e la guarigione delle ferite. E giungo tra voi come pellegrino di pace, a ripetere: “Voi siete tutti fratelli””.

Sulle orme di Abramo alle radici della civiltàDall’estremo Sud del paese, dalla piana di Ur dei Caldei fino al Nord della piana di Ninive – la zona in cui la presenza cristiana era maggiore – e passando per la capitale Baghdad, il Papa si muove sulle orme di Abramo, il padre del monoteismo, riconosciuto da Ebraismo, Cristianesimo e Islam.Proprio da Ur, di fronte alla Ziggurat che sembra raccogliere in sé le radici della civiltà sumera e di una storia lunga seimila anni, la riflessione del Papa: “questo luogo benedetto ci riporta alle origini, alle sorgenti dell’opera di Dio, alla nascita delle nostre religioni. Qui, dove visse Abramo nostro padre, ci sembra di tornare a casa. Qui egli sentì la chiamata di Dio, da qui partì per un viaggio che avrebbe cambiato la storia. Noi siamo il frutto di quella chiamata e di quel viaggio. Dio chiese ad Abramo di alzare lo sguardo al cielo e di contarvi le stelle. In quelle stelle vide la promessa della sua discendenza, vide noi. E oggi noi, ebrei, cristiani e musulmani, insieme con i fratelli e le sorelle di altre religioni, onoriamo il padre Abramo facendo come lui: guardiamo il cielo e camminiamo sulla terra”.Da questo luogo sorgivo di fede, dalla terra del nostro comune padre Abramo, affermiamo che Dio è misericordioso e che l’offesa più blasfema è profanare il suo nome odiando il fratello. Ostilità, estremismo e violenza non nascono da un animo religioso: sono tradimenti della religione, di qualsiasi religione. Anche se l’Abramo biblico e quello coranico non sono esattamente sovrapponibili, in lui vogliamo comunque riconoscere l’uomo che ascolta la voce di Dio, l’amico di Dio come dice l’Islam: Kalil Allah.

L’abbraccio a una Chiesa che soffre“Fratello tra i fratelli”, così Papa Francesco ha iniziato il suo viaggio apostolico in Iraq da un luogo simbolo di dolore e rinascita per i cristiani. Si tratta della cattedrale di Baghdad, intitolata a Sayidat-al-Nejat (Nostra Signora della Salvezza), sede dell’Arcieparchia siro-cattolica della capitale irachena. La maestosa Cattedrale è una delle chiese più grandi della megalopoli irachena, che conta quasi 7 milioni di abitanti. “Siamo riuniti in questa Cattedrale di Nostra Signora della Salvezza, benedetti dal sangue dei nostri fratelli e sorelle che qui hanno pagato il prezzo estremo della loro fedeltà al Signore e alla sua Chiesa”.La chiesa fu bersaglio di due attacchi terroristici, di cui uno, il 31 ottobre 2010, ad opera dell’ISIS, estremamente sanguinoso, in cui sono morte 48 persone – tra loro anche due sacerdoti e un bambino – e ne sono state ferite circa 70. Per questi martiri della fede la causa di beatificazione è adesso in corso.Il viaggio del Papa in Iraq è una mano tesa e un incoraggiamento a tutte le Chiese cattoliche di rito orientale presenti nel paese, che compongono il mosaico della fede cristiana. In particolare il Papa ha salutato i leader Caldei, Siri, Armeni e Latini.Alla vigilia della seconda Guerra del Golfo, nel 2003, i cristiani cattolici in Iraq erano stimati tra 1 e 1,4 milioni (6% della popolazione). Da allora la loro presenza si è ridotta drasticamente fino a scendere, secondo le stime più recenti, a 300-400 mila. L’esodo più massiccio si è verificato a partire dall’intervento militare americano del 2003, a causa dell’insicurezza, delle violenze e degli attentati terroristici, soprattutto dal Nord del paese e da Mosul.”Anche in Iraq la Chiesa Cattolica desidera essere amica di tutti e, attraverso il dialogo, collaborare in modo costruttivo con le altre religioni, per la causa della pace. L’antichissima presenza dei cristiani in questa terra e il loro contributo alla vita del Paese costituiscono una ricca eredità, che vuole poter continuare al servizio di tutti”. Ricordiamo in particolare fra gli altri il martirio il 3 giugno 2007, di padre Raghid Ganni, 35 anni, e di tre diaconi, rapiti e uccisi da uomini armati, mentre uscivano dalla chiesa dopo la messa. Parole dolci e forti quelle della preghiera del Papa – che vogliamo custodire nei nostri cuori – pronunciate sulle rovine della città di Mosul, dove i terroristi avevano insediato la loro “capitale”.”Se Dio è il Dio della vita – e lo è -, a noi non è lecito uccidere i fratelli nel suo nome. Se Dio è il Dio della pace – e lo è -, a noi non è lecito fare la guerra nel suo nome. Se Dio è il Dio dell’amore – e lo è -, a noi non è lecito odiare i fratelli”.Parole di speranza quelle del Papa che invitano alla riconciliazione e incoraggiano i cristiani a non abbandonare il paese, a non desistere dalla fatica della convivenza.

Allargamento del dialogo al mondo sciitaA Najaf, città santa dello Sciismo dove si custodisce la tomba di Ali, il colloquio privato con il novantenne leader venerato della comunità sciita irachena il Grande Ayatollah Sayyid Ali Al-Husayni Al-Sistani, segna uno spartiacque nella storia del dialogo tra Cristianesimo e Islam.Il colloquio, riferisce la Sala Stampa della Santa Sede, è stata per il Papa l’occasione per ringraziare Al-Sistani perché, “assieme alla comunità sciita, di fronte alla violenza e alle grandi difficoltà degli anni scorsi, ha levato la sua voce in difesa dei più deboli e perseguitati, affermando la sacralità della vita umana e l’importanza dell’unità del popolo iracheno”; ricordiamo infatti che nel 2014, quando il potere dell’ISIS nel Paese stava distruggendo la già fragile democrazia, emanò una fatwa con cui chiedeva di contrastare i terroristi. Nel congedarsi dal Grande Ayatollah, Francesco ha ribadito la sua preghiera a Dio, Creatore di tutti, per un futuro di pace e di fraternità per l’amata terra irachena, per il Medio Oriente e per il mondo intero.Un’altra porta che si spalanca al dialogo, dopo quella aperta verso il mondo sunnita rappresentata dalla firma nel 2019 della Dichiarazione di Abu Dhabi assieme al Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb. Non dobbiamo dimenticare infatti che lo Sciismo rappresenta numericamente circa il 20% dell’Islam mondiale e che l’incontro con l’Ayatollah Al-Sistani certamente porterà a ulteriori sviluppi e fronti di dialogo e di confronto anche con questa parte del mondo musulmano. Se con il 2020 abbiamo appreso con la pandemia che siamo molto più deboli e fragili di quello che credevamo; oggi nel 2021 ci possiamo sentire forse più uniti, diversi per religioni e tradizioni culturali, ma partecipi e protagonisti di un unico orizzonte di umanità.