“Messa beat”, esperimento dimenticato

Ancora  prima del Sessantotto, nell’associazionismo giovanile cattolico è stato soprattutto il Concilio Vaticano II a portare linfa nuova, a spingere verso esperienze nuove, diverse, anche se non tutte con risultati positivi o prolungatisi e consolidatisi del tempo. Certamente lo spirito innovativo si è intrecciato e mescolato con la volontà di cambiamento che serpeggiava nei giovani a iniziare da metà degli anni Sessanta e poi sfociato nel ’68 che ha interessato in modo particolare il mondo della scuola e dell’università.Quello del ’68 è stato un movimento dalle mille sfaccettature e da diverse chiavi di lettura. Mi limiterò, restando nel campo del mondo cattolico, a ricordare un’esperienza, molto limitata nel tempo e di cui è rimasta ben poca memoria: la Messa beat o la Messa dei giovani o ancora la Messa ye-ye  come la chiamavano i denigratori. Esperimenti in questo senso ci sono stati anche nella nostra diocesi, che viveva i fermenti giovanili del tempo irrobustiti  dallo spirito conciliare. Storicamente la prima messa beat della nostra provincia fu eseguita a Cormons il 30 maggio 1967. Così venne definita sui giornali dell’epoca, che dedicarono all’evento uno stringatissimo annuncio, anche se non si trattava di una messa vera e propria, ma di un concerto dove complessi regionali eseguirono alcuni brani liturgici della Messa tra i quali il Gloria, il Santo e il Padre nostro. Come location fu scelto il Teatro Comunale e la serata venne organizzata dalla Gioventù studentesca. Gli organizzatori, proprio per evitare polemiche, tennero a precisare che non si trattava di “un atto di culto o di una funzione religiosa, ma dell’esecuzione di musica beat ispirata ai temi della Messa” e che in tale senso doveva essere compresa “per non lasciarsi scandalizzare dal titolo”. All’interno del Teatro Comunale, che segnò il tutto esaurito con giovani provenienti da tutta la regione, la scenografia richiamava un’atmosfera religiosa con l’allestimento di una grande croce realizzata con  tubi metallici che si proiettava, grazie a un gioco di luci, sul palco. Purtroppo di quell’evento, ma anche di quelli successivi  non esiste memoria fotografica.  In regione Messe beat furono eseguite in diverse località quali Udine e Pordenone; in quest’ultima città a Torre la si tenne il 9 settembre 1967 sul sagrato dinanzi alla chiesa dei Santi Ilario e Taziano. Nell’Isontino, con il consenso dei frati francescani, una Messa beat si tenne nella chiesa della Marcelliana con protagonista il complesso dei Gioielli.A Gorizia le cronache parlano di una Messa beat ospitata al Circolo ufficiali di piazza Battisti, iniziativa stroncata dal “Piccolo” con una breve  recensione apparsa il 20 novembre 1967 nascosta a fondo pagina. Si definisce la musica una proposta “dozzinale” e si invita il Circolo ufficiali a “orientare in maniera più oculata verso l’arte nel senso più vero di questo termine e non verso la novità che pretende di essere considerata e ben accetta soltanto in quanto  apportatrice di una modernità che nel caso non esitiamo a definire deteriore”. L’interesse per la musica beat era comunque molto alto nei giovani. D’altra parte questa musica, che come tutto il movimento legato alla generazione beat aveva preceduto la contestazione del ’68, imperversava un po’ ovunque alimentata dalla presenza di decine di complessini nati  sull’onda dei Beatles e dei Rolling Stones, tanto per citare due che hanno fatto la storia della musica internazionale. I concerti non si contarono e a Gorizia fu organizzato il 2 dicembre 1967, nella sala grande dell’Unione  ginnastica goriziana presenti due mila persone, la seconda edizione del festival “Italiabeat”, che vide la partecipazione di 25 complessi che si contesero i titoli di campioni regionali del Friuli Venezia Giulia e delle province di Udine, Gorizia e Trieste; quella di Pordenone non era stata ancora costituita. Per la cronaca il titolo regionale fu vinto dai “Draghi” di Monfalcone mentre quello provinciale fu appannaggio dei “Leggendari”.   Se nel 1967 la Messa beat al Circolo ufficiali fu accolta con grande freddezza, un interesse diverso venne dato un anno più tardi – il ’68 non era forse passato invano – quando la Gioventù studentesca organizzò nella chiesa di Campagnuzza, a partire dal 21 febbraio 1969 e per i quattro venerdì di quaresima, una Messa vera e propria celebrata dal parroco don Cesare Scolobig, chiamata “Messa alleluja”, accompagnata da musiche eseguite dal complesso beat “Le Robespierres” e da un coro.L’altra novità era rappresentata dal fatto che la tradizionale omelia del sacerdote era stata sostituita dalla riflessione di due giovani sul tema della Quaresima. Il “Piccolo” questa volta dedicò ampio rilievo all’evento e con un maggiore equilibrio rispetto al passato giudicò “la musica veramente bella e toccante, discreta e per niente beat, se si considera beat il frastuono di  tanti e tanti complessi e balere”. Non sono comunque mancate le polemiche da chi, in particolare dagli adulti ma anche da sacerdoti, non ha apprezzato l’iniziativa della Gioventù studentesca e le musiche  eseguite dal complesso. Qualcuno ha  gridato alla “profanazione del tempio”, chi “di eccessi giovanili”. Chi scrive ha partecipato a una di queste messe  e ricorda un signore anziano che, da uno dei banchi in fondo alla chiesa, esprimeva a voce alta e con toni irati, la sua disapprovazione all’iniziativa. D’altra parte di lì a qualche giorno un’altra polemica divampò in città, alimentata dalla stampa locale, per un articolo del periodico studentesco “Otto&Mezza”, emanazione di Gs, dal titolo “Gli eroi sono morti” riferendosi alla prima guerra mondiale. Ma di questo ne parleremo in uno dei prossimi numeri di Voce.Tornando alle Messe beat o Messe dei giovani Gorizia giungeva un po’ in ritardo rispetto al resto d’Italia. In Italia la prima esecuzione della Messa dei giovani avvenne a Roma il 27 aprile 1966 nell’aula Francesco Borromini all’Oratorio secolare dei Filippini alla Vallicella. I vari brani furono firmati dal musicista Marcello Giombini su testi di Giuseppe Scoponi, del liturgista Tommaso Federici e Carlo Gasparri. Anche quello fu un evento musicale che non si svolse in un contesto liturgico: ebbe grande risonanza mediatica, ma anche forti critiche e non solo dagli ambienti ecclesiali. Come ha scritto “Avvenire” nel ricordare i 50 anni di quel primo evento, il mondo culturale in generale, compreso quello di sinistra, non colse la volontà di rinnovamento che serpeggiava allora ma veniva contestata la “desacralizzazione della Messa” come scrisse L’Unità.La “Messa beat” non ebbe lunga vita anche perché all’inizio era stata spinta dai discografici che, dopo un breve successo commerciale, non ritennero di sviluppare quel genere. Il riflusso dopo la sbornia del Sessantotto fece il resto. Ma va riconosciuto, a distanza di oltre 50 anni, che quella della Messa dei giovani è stato un tentativo di innovare anche musicalmente la liturgia, che già aveva subito profonde trasformazioni se non altro con la riforma voluto da Paolo VI che nel 1965 introdusse il rito della Messa in italiano. Nel mondo cattolico la voglia di un linguaggio musicale nuovo in quegli anni Sessanta non veniva solo dalla Messa dei giovani, ma anche da altre esperienze come quella di Claudio Chieffo, legato alle linee culturali di Gioventù studentesca, oppure la nascita, sempre nel 1966, dei Gen Rosso e Verde, nati dall’esperienza dei Focolarini di Chiara Lubich, che avevano nel loro repertorio musicale i temi della pace tra i popoli.Non tutto di quelle esperienze è andato perduto. Se oggi in alcune chiese – ma non tutti i parroci lo tollerano – i brani musicali della liturgia sono accompagnati dalle chitarre e dalle tastiere forse è merito di quelle esperienze vissute mezzo secolo fa.