L’editoriale: “A me interessa!”

Grande fu la mia sorpresa quando la signora con voce calma mi disse: “Don Paolo, Lei non sa quanta pena mi fanno questi giovani costretti a lasciare le loro case, i loro affetti per poi trovarsi qui a vivere in queste condizioni, sto andando in chiesa per pregare per loro”.Mi ha commosso questa donna e consolato: la crudeltà non ha attanagliato tutti i cuori. Nella nostra Gorizia, nella nostra Italia, nella nostra Europa, ci sono ancora uomini e donne che hanno rispetto per i loro simili, che hanno compassione per coloro che sono nel bisogno; che esprimono la tenerezza che una madre sa esprimere verso il proprio figlio, vedendo il volto di lui in questi giovani feriti dalla vita.Uno che prova questi sentimenti viene catalogato dai grandi strateghi della nostra società con una parola orribile: “Buonista”. Come se la bontà fosse segno di lassismo, di mancanza d’intelligenza, di incapacità di interpretare gli avvenimenti.Ma ottusi sono coloro che pensano sia necessario agire senza pietà, usando il pugno di ferro verso questi giunti fin qui per invaderci e toglierci l’illusione del nostro effimero benessere. Ormai quasi non ci scandalizziamo più dinanzi ad un’Europa incapace di trovare soluzioni condivise di fronte al problema dei richiedenti asilo: ogni Stato cerca solo il suo interesse. “Avanti disuniti” titolava l’Osservatore Romano in un articolo sulle ultime (non)decisioni di Bruxelles. Stiamo precipitando verso una società invivibile, priva di legami dove l’uomo vive disperato, affogato nella sua solitudine. Perchè questo non avvenga, perchè i rapporti nella nostra società non si riducano all’homo homini lupus un ruolo importante è quello che deve svolgere la Politica.L’immigrazione è un banco di prova da cui nessuno può sottrarsi: da esso dipende il futuro della nostra società e va quindi governato con grande attenzione e lungimiranza. Volevo citare a questo proposito un passaggio dell’intervento del vescovo Carlo nell’incontro avvenuto lo scorso Natale con gli amministratori pubblici: “Le emozioni e gli umori della gente sono determinanti per decidere la pace o il conflitto. Chi ha autorità deve sapere interpretarli, ma anche gestirli ed evitare la tentazione di cavalcarli per i propri interessi o per quelli della sua parte. Le emozioni e le passioni non sono necessariamente qualcosa di negativo. (…) Ci vuole però molta lucidità, molta forza e serenità interiore, per non lasciarsi travolgere e condizionare dalle passioni e dalle emozioni proprie e degli altri, in particolare per non cadere in tranelli e ricatti. E ci vuole molto controllo di sé, molto disinteresse e molta lungimiranza per non cadere nella tentazione di sfruttare le emozioni della gente. Quella più facile da sfruttare, ma anche la più pericolosa verso la pace, è la “paura”. (…). Per esempio, la paura del diverso, dello straniero che diventa l’uomo nero che ci faceva spaventare da piccoli quando la mamma spegneva la luce dopo averci messo a letto. Sfruttare questa paura della gente – che ha anche fondamenti oggettivi, non lo nego (e non propongo alcun buonismo o irenismo..) – può portare, a breve, consensi e forse voti, ma, alla lunga, mina gravemente la possibilità di una convivenza serena”.Anche la comunità cristiana è chiamata a confrontarsi con questo fenomeno partendo dalla Parola di Dio e da quanto Papa Francesco continua a ribadire rispetto all’accoglienza (una delle tre priorità indicate dal Papa alla  Chiesa italiana in questo tempo insieme alla famiglia ed al problema dei disoccupati). Purtroppo sento crescer nelle nostre comunità atteggiamenti xenofobi, di chiusura di non accoglienza che nulla hanno a che vedere con il Vangelo.Per questo voglio concludere  ringraziando la signora che definirei “della tenerezza”, perchè non ha girato la testa dall’altra parte ma ha affermato con i suoi gesti e con le sue parole “a me interessa ogni ragazzo che viene qui; io ne sono il custode”. Ed è questo che fonda il nostro vivere assieme altrimenti ci sarà solo il nulla.

* direttore Caritas diocesana