Emozioni e relazione, dignità e cura

Anche quest’anno ad Assisi, la città del Poverello,  di colui che si è convertito decisamente a Cristo e ha ritrovato il senso della vita abbracciando un uomo povero e malato, si è svolto l’annuale convegno di pastorale della salute organizzato dall’A.I. Pa.S con il patrocinio dell’ufficio nazionale della Cei. Anche questa volta un gruppo della commissione -osservatorio diocesano  della pastorale sanitaria ha partecipato con entusiamo.

Il recupero dell’ascolto della Parola di DioFin dalla prima relazione,tenuta dal vescovo di Città di Castello, monsignor Domenico Cancian, siamo stati aiutati, partendo dal brano evangelico di Marta e Maria, a recuperare la fondamentale dimensione dell’ascolto della Parola di Dio per poter vivere e agire in maniera significativa. Maria si pone davanti al Signore con l’ascolto. Per tutti noi è il punto di partenza: stare davanti al Signore ascoltandolo per stare davanti a chi soffre ascoltando. Gli occhi del malato tante volte rivelano il suo bisogno di essere ascoltato. Quindi proseguendo nella riflessione il vescovo Domenico ci ha invitati a concentrarci sullo sguardo caritatevole di Gesù, a lasciarci guardare da Lui , a imparare dal suo sguardo di buon samaritano per farci prossimo… “se io fossi in quella situazione cosa vorrei per me?”. Il samaritano passando accanto al malcapitato “lo vide”: apri bene occhi e orecchie, fermati a vedere; “ne ebbe compassione”: dagli occhi sei chiamato a passare al cuore, a calarti nella situazione di sofferenza; “si prese cura”: sei chiamato a soccorrere, ad agire… non basta guardare e avere compassione. E questi verbi sono alla portata di tutti, non serve essere medici. Se non facciamo nostro lo sguardo di Gesù rischiamo di fermarci alla prestazione (“prendi la pastiglia… fai quella medicazione.”) senza dire l’amore. Lo sguardo dice il fatto che adesso sono tutto per te, mi dono a te.

I cortocircuiti emozionaliSuccessivamente anche la dottoressa Daniela Lucangeli, psicologa dell’Università degli Studi di Padova, nella sua relazione sui cortocircuiti emozionali, ha ripreso il fatto che lo sguardo è denso di significati spirituali: tu hai senso, tu hai completamente importanza in questo momento…Su questa linea ha proseguito anche la dottoressa Loretta Rapporti, docente e dirigente dell’ufficio scolastico regionale dell’Umbria, che, partendo dalla sua esperienza, ci ha accompagnato tra le parole che feriscono e quelle che guariscono mettendo al centro l’espressione del famoso sociologo e filosofo polacco Zygmunt Bauman: “Abbiate cura delle parole”. Le parole espresse, come sappiamo, pesano: possono ferire o possono guarire. E certamente tutti coloro che operano nel campo della salute è importante che, attraverso le parole (non troppe!), siano facilitatori per chi è affaticato dalla malattia. Interessante anche l’intervento della dottoressa Marciani dell’ospedale romano di Tor Vergata che ha sottolineato il fatto che la cura dignitosa è quella che mette al centro “tutto l’uomo” e quindi si muove attraverso l’incontro e la relazione con il paziente. Sappiamo che la cura nasce per far fronte alla malattia, ma sappiamo anche che non sempre si guarisce. Questo però non significa che si cessi di curare. Infatti ci si prende cura della persona malata, non si cessa di accompagnarla. Dove la cura non ha successo, ha successo la relazione che accompagna. Comprendiamo allora che il prendersi cura non ha e non può avere solo una valenza scientifica ma anche e soprattutto umana. Il prendersi cura è un servizio all’uomo e alla sua salute integrale. Certamente questo vuol dire difendere la persona! E agire in questo modo vuol dire anche per un operatore realizzarsi, proprio nel senso che il filosofo austriaco Martin Buber esprimeva: “Divento io nel tu; diventando io dico tu. Ogni vita reale è incontro. All’inizio è la relazione”. E la base della relazione è “esserci”.  La relatrice ha quindi riportato lo studio del  dottor Mahoney sull’esserci nelle relazioni. Lui afferma: “La maggior parte di noi può ricordare quei momenti in cui eravamo assenti in modo imbarazzante in una conversazione con un amico o un cliente. Come si dice “le nostre luci erano accese, ma noi non c’eravamo”. Potevamo guardare negli occhi l’altra persona e perfino assentire mostrando un’apparente comprensione, ma la nostra coscienza era altrove. Chi ci conosce bene ed è sintonizzato con i sottotitoli della nostra presenza può richiamare la nostra attenzione chiedendoci “ci sei?”,  “Dove sei?”. Più spesso l’altro, per educazione, non dice nulla”. Tradotto nel campo sanitario: possiamo fare le cose migliori, ma se il malato si accorge che non c’è relazione, è tutto inutile. Ritorna sempre il fatto che non possiamo prescindere dalla capacità di ascolto per capire il nostro “tu”, mettendo da parte ogni pregiudizio. A questo proposito papa Francesco nel discorso alla delegazione della Federazione Internazionale delle Associazioni dei Medici cattolici dello scorso 28 maggio 2018 così afferma: “voi siete chiamati ad affermare la centralità del malato come persona e la sua dignità con i suoi inalienabili diritti, in primis il diritto alla vita. Va contrastata la tendenza a svilire l’uomo malato a macchina da riparare, senza rispetto per principi morali, e a sfruttare i più deboli, scartando quanto non corrisponde all’ideologia dell’efficienza e del profitto. La difesa della dimensione personale del malato è essenziale per l’umanizzazione della medicina, nel senso anche della ’ecologia umana’ ”.

Strategia e profezia camminano insiemeInfine, la sintesi delle relazioni e delle varie testimonianze, è stata fatta da don Massimo Angelelli, direttore dell’ufficio nazionale di Pastorale della Salute, il quale ci ha ricordato che nel campo sanitario è assolutamente necessario che camminino insieme “strategia” e “profezia”. La strategia, l’organizzazione sanitaria no basta da sola;  una buona organizzazione sanitaria non determina  una  buona struttura ospedaliera.  C’è bisogno anche della “profezia”, di far nostre le parole e i gesti di Gesù, per non cadere nel grave pericolo dell’efficientismo, proprio come ricordava il Papa.Don Angelelli ha richiamato in tutto questo la forza del verbo “accogliere”, che non vuol dire semplicemente ospitare, curare dal punto di vista medico o finanziare le cure ma ben di più. Ha definito il verbo “accogliere” come un verbo antropologico in quanto presuppone che io sia disponibile a creare uno spazio vitale per l’altro… “tu nella mia vita”, in termini di energia, ascolto , comprensione, compassione, emozione.Questa esperienza assisana sia un ulteriore possibilità perché la nostra Chiesa diocesana continui con cuore e competenza a camminare!