Bibbia in friulano: patrimonio di tutte le Chiese del Friuli

L’annuncio della buona notizia di Cristo non si affida soltanto alle esigenze della comprensione e alla mera razionalità, ma parla al cuore e ha bisogno delle vibrazioni che soltanto una lingua che è “madre”, e per giunta antica e carica di storia, sa offrire in modo del tutto singolare”. Con queste parole il cardinal Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana e Arcivescovo di Perugia – Città della Pieve, ha salutato venerdì 1 febbraio la pubblicazione della nuova edizione della Bibbia in lingua friulana, editata dall’Istituto Pio Paschini per la Storia della Chiesa in Friuli.La bibie par furlan, opera fondamentale per tutta la chiesa friulana, viene ripubblicata a vent’anni dall’edizione – ormai esaurita – del 1997, approvata dalla CEI. Oltre a questo riconoscimento, il Lezionari pes domeniis e pes fiestis del 2001, basato sulla Bibie, ha ricevuto la necessaria autorizzazione da parte della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti. Questa nuova edizione della Bibie, rinnovata nella veste grafica e nel formato, è anche adeguata alla grafia ufficiale della lingua friulana.Introducendo l’incontro, Cesare Scalon, presidente dell’Istituto Pio Paschini, ha inteso ricordare i protagonisti di questa impresa editoriale straordinaria, “madressude fûr dal templi de bande di doi predis segnâz sul libri neri de glesie uficiâl”: pre Checo Placerean e pre Antoni Beline. Se la traduzione della Bibbia in lingua friulana prese le mosse verso la fine degli anni Cinquanta anticipando in qualche modo le raccomandazioni conciliari della costituzione dogmatica Dei verbum sulla divina rivelazione (1965), fu l’esperienza drammatica del terremoto del 1976 a imprimere una svolta decisiva a questa impresa, più identitaria che editoriale.”Ce tantis voltis – ricorda pre Antoni Beline nelle sue memorie – che o ài sintût dentri di me la voe di fermâmi, di fâle finide … Ma ogni volte, cul cûr insanganât, o soi lât indenant. Parceche une vôs mi sburtave a fevelâ …” [“Quante volte ho sentito dentro di me il desiderio di fermarmi, di farla finita … Ma ogni volta, con il cuore insanguinato, sono andato avanti”]. E questo impegno è stato riconosciuto anche dal card. Bassetti: citando Papa Francesco, il presule ha ricordato come “l’uso liturgico e pastorale della lingua friulana è anche opposizione alla “cultura dello scarto”, tante volte disapprovata da papa Francesco. Oggi con troppa facilità si scarta chi è piccolo, chi non appare, chi è insignificante nel grande mercato mediatico o economico, chi è ritenuto “vecchio” e “sorpassato” come può accadere anche a una lingua antica e nobile come la vostra. Una lingua piccola non è mai piccola agli occhi di Dio e può essere mediazione sapiente ed autorevole del suo disegno di salvezza per ogni uomo”. Parole forti e profonde, che rientrano in quello stile della Chiesa “tipico di chi genera, educa, si prende cura e si prende a cuore il proprio figlio e gli parla in modo intimo, immediato, con gli accenti tipici della dimensione domestica e locale. Non è affatto chiusura nel particolare o campanilismo, e neppure mera preoccupazione di rendere comprensibili i concetti, ma desiderio di immediatezza e di prossimità, senza scivolare nell’approssimazione”. Il presidente della CEI ha quindi rimarcato come sia “emblematico che i friulani chiamino la loro lingua marilenghe, la “lingua madre” o anche la “lingua della madre””.Il card. Bassetti ha più volte ricordato il periodo in cui, da giovane sacerdote e rettore del seminario fiorentino, venne mandato da mons. Ermenegildo Florit, cardinale friulano all’epoca arcivescovo di Firenze, ad assistere i friulani tra le macerie della propria terra martoriata dal terremoto del 1976.  Ha quindi concluso il suo intervento ricordato l’origine di questa fede: “Le Chiese del Friuli, che ancora beneficiano del grande sforzo di inculturazione della fede messo in atto dalla Chiesa di Aquileia, riconsegnando ai cristiani di questa terra la Bibbia par furlan sanno di compiere un’operazione pastorale e culturale ad un tempo, un’operazione che può giovare non poco a salvare ciò che di più profondo e autentico si cela e si rivela nell’anima di questo popolo e che gli è servito per non perdere la sua identità umana e cristiana nelle epoche più difficili”.

Il ruolo fondamentale della Chiesa gorizianaCome ricordato dal presidente della CEI, la Bibie par furlan è patrimonio di tutte le Chiese del Friuli, figlie ed eredi della Chiesa di Aquileia. Un percorso di fede, di uso pastorale e liturgico della lingua friulana, che è stato evidenziato nell’intervento di Gabriele Zanello, docente docente di lingua e letteratura friulana, che ha chiuso la serata di presentazione della Bibbia in marilenghe ricordando come, nel corso della storia, un ruolo fondamentale lo abbia avuto la Chiesa di Gorizia: di seguito si riportano alcuni dei passaggi più significativi del suo intervento.”Il primo arcivescovo Carlo Michele d’Attems nelle sue visite pastorali ha sempre avuto particolare riguardo verso la predicazione e la catechesi in lingua locale; così come nelle numerose lettere pastorali o delle costituzioni del Sinodo provinciale del 1768, che statuiscono la necessità di esporre i contenuti di fede lingua vulgari styloque familiari. […] Il clero, attraverso l’uso delle lingue parlate, ha rivestito un ruolo determinante nel consolidamento delle identità locali. Perfino i sacerdoti di origine slovena (e croata) sapevano predicare in friulano, da loro appreso quale “lingua franca” negli anni di permanenza nel Centralseminar. Insomma, non è esagerato affermare che la Chiesa ha più o meno consapevolmente fornito una sorta di giustificazione implicita a una sensibilità identitaria già consolidata lungo i secoli. […] appare inequivoco quanto scriveva l’arcivescovo goriziano (ma di origine slovena) Walland nella prefazione di un libretto di preghiere a stampa del 1820: “I Todeschs, i Cragnolins han lis lor prejèris nel lor lengaz, parcè no varessis di velis anchia Vò? […] Preait, o bon Popul nella uestra lenga. Lis prejèris in chista fattis us laran plui di cur, saran plui devotis, e par chist anchia plui utilis e plui vantazzosis”. Tre righe che sembrano compendiare due secoli: i risvegli nazionali (poi divenuti nazionalistici) dell’Ottocento sono sottesi al parallelismo tra friulani, tedeschi e sloveni; ma con l’invito a pregare nella propria lingua, Walland promuoveva l’autocoscienza dei friulani e li esortava a rappacificarsi con la propria storia e il proprio volto. Il suo discorso non si reggeva su questioni di diritti o doveri, ma sul dono di Dio, che precede qualsiasi diritto o dovere”.Una presenza che, nonostante tutte le pressioni nazionalistiche del ‘900, è sopravvissuta fino ad oggi anche grazie all’attività pastorale dell’Arcivescovo Cocolin e dei tanti sacerdoti che si impegnano ancora oggi per la presenza della lingua friulana all’interno della Chiesa goriziana.