Przemysl: un luogo che ricorda oggi come ieri gli orrori della guerra

Le cronache di questi giorni hanno riportato la contestazione che Matteo Salvini ha subito a Przemysl da parte del sindaco di quella cittadina polacca, l’ultranazionalista e populista Wojciech Bakun, che gli aveva mostrato una maglietta con l’effige di Putin, simile a quella che l’esponente leghista aveva indossato alcuni anni fa sulla piazza Rossa di Mosca. Quel che è accaduto in Polonia ne ha parlato il mondo intero e non c’è bisogno di un approfondimento, ma fornisce lo spunto di parlare di Przemysl, città che conta oggi 60 mila abitanti, dista pochi chilometri dal confine con l’Ucraina e oggi punto di approdo di migliaia di profughi ucraini in disperata fuga dalla guerra.Gran parte d’Italia ha appreso dell’esistenza di questa città grazie alla performance di Salvini, ma dalle nostre parti evoca un’altra guerra, un’altra tragedia, vissuta più di cento anni fa durante quell’”inutile strage” che fu la prima guerra mondiale. Una città dal nome impronunciabile che è rimasta nella memoria, e nelle carni, della gente di queste terre, di uomini e di donne che hanno pianto i loro cari. A Przemysl, al confine dell’allora impero austroungarico, c’era una delle tre più grandi fortezze dell’Europa. Tra l’ottobre del 1914 e l’estate del 1915 fu teatro di sanguinosi assalti da parte dell’esercito zarista che riuscì, dopo 133 giorni di assedio, a conquistarla per poi perderla definitivamente tre mesi più tardi. Fu una carneficina. La guarnigione della fortezza disponeva di 126 mila uomini, i russi avevano messo in campo 300 mila soldati. Morirono 16 mila austro-ungarici (i restanti 111 mila si arresero), i russi persero 115 mila uomini (di cui 40 mila nei primi giorni d’assedio). Fra le vittime ci furono anche centinaia di italiani, che vestivano la divisa dell’esercito austro-ungarico. Erano trentini, friulani, triestini, giuliani, istriani e dalmati che il 28 luglio 1914, allo scoppio della guerra, in qualità di sudditi dell’Austria-Ungheria, avevano dovuto rispondere alla chiamata alle armi imposta dal kaiser.  E in quelle terre di Galizia – così si chiamava quella regione che oggi sulle carte geografiche non esiste più, divisa tra Polonia e Ucraina – in molti hanno trovato la morte. Cifre certe non ci sono, ma non si va lontano se s’indica in 30mila tra morti, dispersi e feriti sui vari fronti dell’Europa orientale.  Altrettanti furono fatti prigionieri dai Russi.Nelle centinaia di cimiteri militari dislocati nei paesi della Galizia sono sepolti gli italiani. Soltanto nel distretto di Cracovia furono contati 758 caduti italiani. In molti cimiteri si possono ancora leggere i loro nomi sulle croci. A Przemysl c’è tuttora il cimitero militare, dove riposano anche decine di italiani. Da una ricerca effettuata una ventina di anni fa dalla Società Cormonese Austria – il presidente Giovanni Battista Panzera personalmente visitò molti di questi camposanti militari, molti di dimensioni piccolissime e contenute spesso all’interno di quelli civili. E scoprì che a Przemysl c’erano, e ci sono ancora, le tombe di sei cormonesi: Giuseppe Sgubin, Mattia Soric, Pietro Maghet, Roberto Blasig. Luigi Tinonin e Giovanni Perissuti. Altri 16 cormonesi riposano in cimiteri tra il confine polacco e la zona di Leopoli.Questi italiani morti indossando la divisa austroungarica sono ignorati dall’Italia, che per anni li ha considerato dei traditori perché avevano combattuto con il nemico. Solamente in questi ultimi 30 anni nelle regioni dell’ex Austria Ungheria viene riconosciuto il loro sacrificio. In Trentino da anni hanno sviluppato un’approfondita ricerca e pubblicato numerosi saggi. In quasi tutti i paesi di quella regione nei monumenti dedicati ai Caduti la prima guerra mondiale è indicata con la data 1914-1918.Nei nostri territori con fatica da alcuni anni è iniziata questa ricerca storica per individuare i nomi dei morti e dove sono stati sepolti. In alcuni paesi, come a Cormons, Lucinico (che ebbe 90 morti), Cervignano del Friuli, Gradisca (90 morti), tanto per citarne alcuni, sono stati eretti, anche con qualche polemica, monumenti in memoria di questi Caduti dimenticati. E anche la pubblicistica comincia a dedicare spazio a questa parte di storia ignorata.Se Salvini nel suo viaggio in Polonia avesse varcato la porta del cimitero di Przemysl e reso omaggio, con una preghiera o un fiore a questi italiani che lì riposano da oltre cento anni, avrebbe forse colto gli orrori della guerra. E quei morti gli avrebbero risposto non solo “presente”, ma avrebbero ripetuto a voce alta quelle parole, oggi più che mai attuali, che Paolo VI pronunciò con voce ferma all’assemblea delle Nazioni Unite il 4 ottobre 1965: “Non più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell’intera umanità”.Ma non serve andare fino a Przemysl o a Leopoli, è sufficiente visitare uno dei tanti cimiteri militari presenti pure nel nostro territorio, dove riposano insieme soldati italiani, austriaci, ungheresi, russi e romeni per rendersi conto degli orrori della guerra.E sarebbe  bene anche ad andare a rileggersi l’omelia che papa Francesco tenne il 13 settembre 2014 al sacrario di Redipuglia. Ne ricordiamo solo una frase: “Trovandomi qui, in questo luogo, vicino a questo cimitero, trovo da dire soltanto: la guerra è una follia”.