Comunità capaci di non far sentire come estranei i nuovi arrivati

Ce lo ricorda il vescovo Carlo nella sua lettera pastorale Una Chiesa che ascolta e che accoglie: “prima ancora di chiederci di essere accoglienti, il Signore ci ha accolto, come ha sperimentato Zaccheo che si è sentito chiamare da Gesù..” (n.54).In questo senso l’accoglienza è una restituzione minima, molto parziale, di quanto abbiamo ricevuto. È bene sottolineare che, per quanto potremo restituire accogliendo e solidarizzando, saremo sempre in difetto nei confronti del tanto ricevuto. Questa considerazione è alla base del senso di riconoscenza e gratitudine che dovrebbe caratterizzare la nostra esistenza. “L’amore che abbiamo ricevuto e che continuamente riceviamo deve trasformarsi in capacità di amare, diventa addirittura un ’comandamento’, il comandamento che ci contraddistingue come discepoli di Gesù “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,34-35).L’accoglienza non ha confini. Nella misura in cui la testimoniamo all’interno delle nostre famiglie, la viviamo anche in riferimento alla società che ci circonda e all’interno della comunità cristiana stessa. La sua caratteristica più bella consiste nel togliere ogni giudizio morale nei confronti dei fratelli. Chi accoglie abbatte confini morali prima ancora che sociali ed economici. È sempre il vescovo Carlo che scrive: “Come il Signore ci ha accolto nella nostra debolezza e nel nostro peccato arrivando perfino a morire per noi senza pretendere che prima fossimo ’giusti’, così noi dobbiamo accoglierci vicendevolmente, senza lasciarci bloccare dalle nostre debolezze, differenze, povertà…”.Lo stile di accoglienza dovrebbe caratterizzare la vita delle comunità cristiane. A partire dalla liturgia (lex orandi è sempre lex credendi…) che dovrebbe essere uno spazio rituale nel quale sentirsi accolti dalle parole e dai gesti di tutti coloro che si incontrano: all’entrata della chiesa con un sorridente benvenuto e all’interno di essa con parole evangeliche di incoraggiamento e di speranza. Alla visita delle famiglie da parte non solo del parroco, ma anche dei suoi collaboratori. Ai centri di ascolto dove incontrare le situazioni di maggiore povertà…  Senza dimenticare gli ammalati e i giovani.In tutte queste situazioni, l’accoglienza si caratterizza per essere una forma di accompagnamento e non solo un’occasione di incontro. Infine, ci ricorda il vescovo, “L’accoglienza va assicurata anche a chi non è cristiano perché indifferente o appartenente ad altre religioni. Un’accoglienza in questo caso, che diventa conoscenza, rispetto, ascolto, dialogo nei modi più opportuni e rispettosi. E, insieme, testimonianza (e proposta, quando ve ne siano le condizioni) della nostra fede.