Istituzione accademica proiettata al futuro ma radicata nel presente

“Sogno un Istituto di Scienze religiose che, in questo presente complesso ed impegnativo, sia sempre più inserito nel dibattito pubblico e riconosciuto quale risorsa preziosa per la società”. È un istituzione accademica insieme proiettata al futuro ma radicata nel presente e sul territorio quella che appare riflessa negli occhi di don Federico Grosso, prodirettore del nuovo Issr Santi Ermagora e Fortunato promosso dalle diocesi di Gorizia, Trieste e Udine. “Il direttore uscente don Giovanni Del Missier ha fin qui fatto un lavoro egregio – aggiunge il prodirettore -. Bisogna ora continuare in questa direzione”.15 anni di sacerdozio, di cui 10 di servizio pastorale a Gemona, prima come cappellano poi come parroco di Ospedaletto e Campolessi, e prima ancora a Tricesimo. Don Grosso, 47 anni, originario di Buttrio, è professore di Teologia fondamentale e di Catechetica generale all’Issr e di Teologia fondamentale e Teologia e Filosofia in Seminario. Una nomina, quella a prodirettore del nuovo Istituto, che non lo coglie impreparato: “Ho sempre fatto il docente, ho cominciato ad insegnare prima di finire il dottorato, prima in Issr e poi in Seminario. Ho sempre fatto insieme il parroco e il professore di teologia, anche se entrambi richiederebbero un lavoro a tempo pieno. La situazione di necessità che viviamo oggi ci induce a pensare che l’unico luogo dove si fa pastorale sia la parrocchia, ma non è così. L’insegnamento della teologia è innanzitutto un servizio alla Chiesa, oggi forse più importante di un tempo”.

Oggi la teologia è più importante?

Una cosa è certa: oggi c’è estremo bisogno di un cristianesimo consapevole, compos sui, che sappia indagare sulle ragioni della fede, che faccia domande. L’impegno del docente va in questa direzione, a servizio della Chiesa concreta.

Nell’immaginario comune il teologo è un saggio che vive tra i libri, non tra la gente…

Certamente lo studio è una parte importante del lavoro, ma il teologo non ha a che fare solo con i libri, opera sul territorio, incontra le persone. La parrocchia del prete teologo sono i suoi studenti, le persone che incontra. La mia ricerca per il dottorato verteva sul rapporto tra teologia e biografia. Una teologia che non proviene dalle nostre biografie mi chiedo che teologia possa essere…

Come si è intrecciata la teologia con la sua vita?

Quando ho cominciato i miei studi ho scoperto un mondo di sapere che non conoscevo. Arrivavo dalla facoltà di medicina, e prima dal liceo scientifico. In Seminario ho avuto la fortuna di vivere incontri straordinari con personaggi come mons. Rinaldo Fabris, mons. Marino Qualizza e altri… Più studiavo, più mi appassionavo. La teologia fondamentale, che è il mio campo, si occupa di tematiche quali l’incontro fede ragione, l’incontro fede-filosofia, il dato dell’inculturazione del cristianesimo… sono tematiche che oggi non possono non appassionare.

E tematiche sulle quali un cristiano oggi non può non interrogarsi.Esatto. Il cristianesimo è chiamato a questo. Anche ad indagare possibili vie di riforma. Il Papa ne parla esplicitamente. Riforma è un termine che a volte fa paura, ma vuol dire non smettere mai di conformare il cristianesimo alla sua forma originale, che è la persona di Gesù. Questo è il compito che la teologia deve svolgere.

Quando ha deciso di fare l’insegnante?

L’idea di insegnare mi è piaciuta da sempre. Credo che quella di trasmettere il  cristianesimo in modo “vivibile” sia la sfida di ogni sacerdote. Ogni prete è docente: nel momento in cui fa l’omelia o il catechismo esercita la dimensione magisteriale che è propria della chiesa. Essere docente non significa mettersi in cattedra, ma saper condividere quel che si sa. Il prete teologo è impegnato nella formazione dei laici e dei futuri preti soprattutto nel proporre la teologia non come una serie di commenti dottrinali astratti al Vangelo ma come approccio critico alla fede, in modo che il cristianesimo sia ciò che deve essere, ovvero sempre un cristianesimo situato e inculturato.

In un presente così complesso la teologia aiuta a vivere meglio?

Riprendo una riflessione fatta pochi giorni fa da padre Ermes Ronchi durante il Corso biblico estivo organizzato dall’Issr. Portando a paragone le barche, padre Ermes ha ricordato che è sì importante insegnare le regole di navigazione, ma soprattutto trasmettere la passione per l’alto mare, per l’andare al largo. La teologia serve a questo. Il cristiano non dovrebbe aver paura di niente eppure oggi noi notiamo tante paure, tante paralisi. Lo studio della teologia ci aiuta ad avere meno paura. A usare la testa oltre che il cuore, a pensare una fede che sia propositiva. È il compito che la Chiesa si è data nel Vaticano II: mostrare che il Vangelo è bello e merita di essere vissuto.

Per questo c’è necessità di inserire sempre più l’istituto nel dibattito pubblico?

Senz’altro. L’Istituto è conosciuto da tutti perché fornisce l’abilitazione per insegnare religione nelle scuole, ma il suo ruolo è anche di mostrare la rilevanza della teologia in ambito pubblico, civile, sociale. Su questo fronte intendiamo continuare sulla via delle connessioni e collaborazioni anche con altri luoghi educativi e formativi. L’avvio dell’Istituto interdiocesano può essere un’ulteriore opportunità. E ci auguriamo che la sua rilevanza sia riconosciuta e sostenuta”.

Nel concreto, che apporto può dare l’Istituto al dibattito pubblico?

Le questioni sul tappeto oggi sono tante e interessanti: basti pensare che all’inaugurazione dell’anno accademico, il 17 novembre,  ci sarà il card. Angelo Bagnasco, in qualità di presidente del Consiglio delle conferenze dei vescovi d’Europa. Europa, migranti, Islam… Tante sono le questioni aperte, spesso strumentalizzate, nelle quali l’ambito religioso ha una rilevanza cruciale. Molte strumentalizzazioni giocano proprio sul fatto che manca una consapevolezza. Un Istituto di scienze religiose che forma i futuri preti, i laici, i professori di religione che hanno a che fare con i bambini e i ragazzi nelle scuole, ha un compito cruciale e deve diventare sempre più una risorsa attiva nella società civile. In questo, probabilmente, dovremo farci aiutare da chi ne sa di più e dovremo sempre più mettere in comune energie e risorse. Abbiamo tutti la tendenza a voler essere autosufficienti, ma un io cito sempre un saggio proverbio africano che dice: “Se vuoi andare veloce cammina da solo, se vuoi andar lontano cammina insieme agli altri”.