La storia di Adele, Anna, Irma ed Enrico

I quattro piccoli sono soli in casa.  Il padre è nell’orto, la madre ha approfittato di quella che pareva una tregua per andare in cerca di qualcosa da mangiare: non riescono a rientrare in tempo, bloccati dalla violenza del bombardamento improvviso.La granata assassina centra in pieno il tetto, penetra nella camera da letto e spezza le loro vite. I soccorritori, scavando a mani nude, ne estraggono i corpi dilaniati dall’esplosione solo dopo qualche ora sfidando il fumo dell’incendio e la polvere che si alza dalle rovine.La storia di quei bambini è la storia dei loro coetanei protagonisti, in questa estate del 2014, delle notizie che ci giungono dalla spiaggia di Gaza o da qualche villaggio siriano o afghano: cambiano i nomi ma non muta l’immagine di distruzione e di morte ed il dolore di madri che si disperano sulle piccole bare dei loro figli. Simboli di guerre sempre così tragicamente simili a quelle che le hanno precedute ed a quelle che seguiranno, in una violenza che pare incisa nel profondo del Dna degli uomini. In ogni tempo ed in ogni latitudine.Cento anni fa, il 28 luglio 1914, scoppiava “ufficialmente” il primo conflitto mondiale, quella guerra che fu “grande” non tanto per la lunghezza dei fronti, la potenza devastatrice delle armi utilizzate ed il numero dei soldati coinvolti ma soprattutto perché solo con quell’aggettivo coloro che le sopravvissero riuscirono a descrivere la tragedia che avevano vissuto e le cui ferite portarono per sempre nell’anima prima che sul corpo. “Inutile strage” la definì, inascoltato, papa Benedetto XV e quel termine “inutile” diveniva la pietra tombale sui ragionamenti di coloro che si aggrappavano (e si aggrappano) a mille motivazioni per giustificare la morte di milioni di giovani i cui corpi giacevano sulle pietraie del Carso o sulle rive della Marna o nel fondo delle trincee della Galizia… Il destino beffardo non faceva più differenze fra le divise, fra le lingue, fra le fedi: in meno di un lustro, l’Europa perdeva un’intera generazione come in passato era avvenuto solo ai tempi della peste nera.Ma se la memoria degli uomini dura lo spazio della loro vita, quella dei popoli si dilata ben oltre.A chi sa leggere oltre le righe, è sin troppo facile riconoscere dietro le tensioni e le guerre che interessano oggi tanti popoli in tutto il pianeta le situazioni che quel conflitto lasciò irrisolte e le ferite che in questi cento anni nessuno è riuscito (o ha voluto…) chiudere.Quello che avete fra le mani è il primo di una serie di speciali monografici che Voce Isontina dedicherà nei prossimi anni alla “Grande Guerra”. La nostra intenzione non è quella di “celebrare” ma di “fare memoria” a partire dalla quotidianità di coloro – civili e militari – che di quella catastrofe furono le vittime prima che i protagonisti; lo faremo cercando – grazie all’aiuto di esperti e studiosi – di comprendere innanzitutto come ad essa si giunse e quali furono le conseguenze per un territorio come quello Isontino che da quegli anni uscì sconvolto. La nostra speranza è che queste pagine possano essere non solo sfogliate ma lette; che possano diventare strumento di lavoro e di approfondimento per chi (insegnanti, educatori, catechisti…) sarà chiamato nei prossimi anni a spiegare ai giovani avvenimenti che sui banchi di scuola vengono affrontati in fretta a fine anno, magari con una lettura dove a farla da padrona è la retorica. Volti e storie di un tempo che non appartiene al nostro passato ma è il nostro presente.

PS: Mi sono imbattuto nella storia di Adele, Anna, Irma ed Enrico sfogliando i registri di una delle parrocchie della nostra diocesi. Era il 26 ottobre 1915…