Voci critiche sul ddl Zan

L’acceso dibattito sul ddl Zan ha assunto, soprattutto in occasione della Nota della Santa Sede al Governo italiano, i toni caricaturali di uno scontro fra cattolici e reazionari da un lato, laici e progressisti dall’altro, come sottolinea il direttore di Avvenire. La realtà è molto diversa, più sfaccettata e complessa, a dimostrazione del fatto che i grandi cambiamenti di tipo antropologico, culturale e sociale in atto presentano ambivalenze e contraddizioni, interpellando pensatori di tutti gli orientamenti politici, aldilà della divisione manichea fra conservatori e progressisti o cattolici e laici.Voci critiche al disegno di legge si sono levate da vari esponenti della sinistra, riguardando sia i problemi di tipo giuridico e costituzionale del testo sia le visioni antropologiche sottese. Così le riassume Stefano Fassina di LEU: “… la legge non può promuovere una visione antropologica, come invece fa l’art 1, in particolare la lett d). La proposta va corretta, almeno per evitare un precedente pericolosissimo e l’incostituzionalità, a giudizio di autorevolissimi giuristi, anche di area progressista e liberale come l’ex Presidente della Consulta Giovanni Maria Flick o il prof Natalino Irti. Inoltre, da mesi, sottolineo la gravità per la qualità della nostra democrazia costituzionale di procedere in totale indisponibilità all’ascolto e, anche in misura minimale, all’accoglimento dei rilievi seri e fondati di settori significativi del Parlamento, di fasce larghe e qualificate della cultura e della società civile e religiosa”.Analogo il giudizio del filosofo Massimo Borghesi: il ddl “implica una rivoluzione antropologica per la quale viene rifiutata l’identità di genere in base al sesso… Il ddl Zan è, nella sua forma attuale, illiberale e discriminatorio.Non solo per i cattolici ma per molti, per i tanti che, diversi per orientamento politico, non si riconoscono nel modello gender come paradigma universale”.Decisamente più tranchant Marco Rizzo, segretario del Partito Comunista, che contesta la battaglia per i diritti civili del PD come “arma di distrazione di massa per coprire le nefandezze compiute sui diritti sociali”, affermando “Se passa il ddl Zan potrei essere punito. È una legge costrittiva… I signori della sinistra rivendicano dei desideri che finiscono per mercificare il corpo delle donne… Senza contare che in quel disegno di legge ci sono altre follie come la definizione del sesso. Mi sveglio una mattina e decido che sono una donna, e posso usufruire delle quote rosa? Basta, io di questo andazzo non ne posso più. È l’ideologia gender, un’ideologia piegata al consumo”.Molte esponenti del femminismo esprimono critiche simili, chiedendo modifiche sull’identità di genere e altri aspetti pericolosi del ddl. Marina Terragni afferma: “Nel testo si parla di identità autopercepita che è l’ambiguità che apre la porta alla ’Self Id’, l’autopercezione del genere. Per capire: in California, dove il self-Id è diventato legge ci sono stati 270 detenuti che si sono dichiarati donne e hanno chiesto di andare nel carcere femminile, con il terrore delle detenute”. La presidente di Arcilesbica Cristina Gramolini sottolinea il rischio di legittimazione della Gravidanza per altri: “Con il ddl Zan criticare l’utero in affitto viene considerato omofobia”. Un’intera galassia di associazioni femministe, fra cui UDI, Arcidonna, Arcilesbica, RadFem Italia, ha diffuso un comunicato per chiedere che il disegno di legge venga emendato: “Diversamente non sosterremo in alcun modo questa legge”. Le richieste di emendamenti riguardano il no all’inserimento della lotta alla misoginia perché “Le donne sono la maggior parte dell’umanità, non una delle minoranze del mondo Lgbtq+”; il no all’identità di genere scorporata dalla radice sessuale perché “In tutto il mondo l’identità di genere viene oggi brandita come un’arma contro le donne”.Luca Ricolfi, sociologo proveniente dall’area di sinistra ma polemico verso quello che definisce “bullismo etico”, commenta che “l’establishment progressista si è fatto più aggressivo: non gli basta dire ’noi siamo moralmente superiori’, ora pretende di stabilire come dobbiamo parlare, come dobbiamo comportarci, a quali valori dobbiamo inchinarci” e propone interrogativi linguistici su termini quali omofobia e transfobia, che andrebbero completamente banditi dalla legge penale perché “stigmatizzare la paura è semplicemente un non senso”. Afferma inoltre che moltiplicare le categorie da proteggere con leggi penali apre la porta a rivendicazioni potenzialmente illimitate: anche i barboni, i grassi, i timidi sono spesso oggetto di discriminazioni e bullismo, non protetti però da un’elite di pseudo influencer. È la tribalizzazione della società, frammentata in minoranze che non solo pretendono (giustamente) di essere rispettate, ma vogliono imporre a tutti una determinata visione del mondo sotto lo scudo del politicamente corretto, ponendo limiti alla libertà di manifestazione del pensiero, come molti giuristi hanno osservato.Fra i costituzionalisti critici c’è Michele Ainis per cui “Il Ddl Zan è inutile e dannoso”, una legge che non serve perché nei nostri codici sono già previsti i modi per punire i crimini d’odio: una buona legge dev’essere generale, mentre, come scrive Cinzia Sciuto, redattrice di MicroMega, con il ddl Zan “si è scelta la via della categorizzazione identitaria invece di quella dell’universalismo egualitario”. L’universalismo egualitario dell’art. 3 della Costituzione.