Vivere in un mondo globalizzato

Verso il diverso, dunque, possiamo avere due atteggiamenti. Da un lato la repulsione e la paura (mixofobia) dall’altro la curiosità e l’apertura (mixofilia).  “Le due tendenze confliggenti hanno più o meno la stessa forza:  talvolta ha la meglio l’una, talaltra la seconda: non siamo in grado di affermare quale prevarrà ma nel nostro mondo globalizzato, essendo tutti interconnessi e interdipendenti, quel che facciamo nelle strade, nelle classi della scuola primaria e secondaria , nelle pubbliche piazze, è estremamente importante non solo per il futuro del posto in cui viviamo, ma per il futuro del mondo intero” (Bauman, 2011).E’ proprio in questo contrasto tra paura e curiosità, chiusura e apertura che trova alimento uno degli atteggiamenti più classici del rapporto interculturale vale a dire l’etnocentrismo. Termine coniato dal sociologo G.W. Sumner  per indicare la tendenza a giudicare i membri, la struttura, la cultura e la storia di gruppi diversi dal proprio, con riferimento ai valori, alle norme e ai costumi ai quali si è stati educati ,  l’etnocentrismo ha avuto la sua  configurazione storica soprattutto con il colonialismo. L’etnocentrismo di per sé non è mixofobico; tende anzi ad  assumere la cultura dell’altro, ne è perfino curioso e pronto anche a concedere una quota di influenza (esotismo)  , ma non ammette alcuna alienazione di sovranità vista l’assoluta primarietà dei propri usi e costumi alla luce dei quali l’altro è giudicato. Tuttavia è anche sul termine etnia e sull’aggettivo etnico che occorre qualche precisazione. Usatissime nel linguaggio dei media (si pensi a espressioni come conflitto etnico e pulizia etnica) le due parole si prestano a non poche ambiguità e la stessa antropologia ha da qualche decennio rivisto in profondità la propria attrezzatura teoretica rispetto a questi due concetti. Qual è il rischio ? Il rischio è quello che nel passaggio dal linguaggio specialistico a quello comune il concetto di etnia subisca una forma di reificazione.  Detto in altri termini l’etnia diventa una cosa in sé chiusa e definita dalla quale si è caratterizzati in modo permanente.Come si può appartenere a uno e ad un solo Stato, così si appartiene ad una sola etnia. In realtà l’etnia più che essere una proprietà immutabile di un gruppo umano e degli individui che ne fanno parte è un processo fluido e in costante mutamento (i modelli culturali cambiano, si contaminano, si modificano). “La cultura non è qualcosa di statico, che si conserva immutato e incontestato, ma un processo continuo; è riprodotta e ricreata senza sosta nelle interazioni sociali, è il risultato di un incessante lavoro di mediazione, confronto e scontro nello sforzo continuo di interpretare il mondo e di dare senso agli eventi” (Colombo, 2019). Le realtà sociali indicate con il termine etnia insomma “non hanno nulla di essenziale o autentico, e sono sempre il frutto di contingenti processi storici e dinamiche politiche, spesso meno antichi e profondi di quanto si creda” (Dei, 2012) . Dobbiamo quindi guardarci dall’etnocentrismo ma dobbiamo pure essere attenti sull’uso che facciamo del concetto stesso di etnia. Si pensi alle guerre nell’ex Jugoslavia comunemente spiegate come frutto di antichissimi odi etnici improvvisamente riesplosi dopo il crollo del regime socialista che le aveva sopite. Forse – come scrive F. Dei – ” non si prende abbastanza in considerazione la possibilità che, almeno in parte, il discorso etnico, i sentimenti di appartenenza, il senso delle differenze siano la conseguenza e non la causa dei conflitti”. (Dei, 2012)”Sono passati vent’anni da quell’inizio … e ancora non trovo una parola migliore di “imbroglio” . Perché tale fu quel massacro costruito in laboratorio e sdoganato ai fessi come conflitto di civiltà, scontro tribale o generica barbarie. In questo depistaggio l’Europa è caduta in pieno, per inerzia, interesse o complicità, e questo ci espone tutti al rischio di essere balcanizzati senza aver approntato contromisure al diffondersi del contagio” (Rumiz , 2012).3. continua