Un tetto per ogni richiedente asilo

Sempre di grande attualità il tema dei richiedenti asilo in città. Gorizia registra un flusso continuo di profughi, a fasi che possiamo definire alterne, ma ad ogni modo costanti. È notizia proprio di questi giorni l’insediamento da parte di Medici Senza Frontiere presso gli spazi del San Giuseppe, dove a brevissimo inizierà il suo operato di assistenza medico – umanitaria. Abbiamo incontrato il dottor Yannick Julliot, coordinatore per MSF del “progetto Gorizia” il quale ci ha raccontato dei loro monitoraggi e di una situazione che, se vissuta in maniera non consona e preparata, rischia di collassare.Dottor Julliot, da quando precisamente Medici Senza Frontiere è presente a Gorizia e per quanto tempo ci rimarrà? L’obiettivo primario della presenza del vostro staff?Come Medici Senza Frontiere questo è il secondo anno di monitoraggio della situazione con personale ad hoc. L’ultima valutazione è stata fatta a settembre e da quel momento abbiamo deciso di avere una presenza continua, per poter continuare ad approfondire i contatti che avevamo intessuto e per continuare il monitoraggio, vedendo quello che avremmo potuto fare in caso di bisogno. Dal 12 ottobre scorso la nostra presenza qui è quindi continua. L’intervento è chiaramente temporaneo, visto che sono le istituzioni italiane e locali che devono rispondere all’accoglienza dei richiedenti asilo. Dal momento che – per il momento – la risposta data non ci sembra adeguata, nel senso che una parte del flusso in arrivo non è accolto consonamente, abbiamo deciso di intervenire in collaborazione con la Caritas e la Diocesi, che ci hanno permesso di avere lo spazio al San Giuseppe per poter dare un’assistenza medica e umanitaria alle persone che non hanno ancora trovato una situazione stabile.In termini di risorse umane, essendo “Medici Senza Frontiere” l’assistenza medica è il fulcro del nostro intervento, ed è per questo che stiamo elaborando un accordo – che speriamo e contiamo si firmi il più presto possibile – con la Croce Rossa e l’Azienda per i Servizi Sanitari. Attualmente siamo presenti in 4 operatori tra staff medico e logistico; contiamo che arrivi ancora un tecnico ma la cosa è molto dinamica, per cui si agirà anche in base ai bisogni e non è da escludere un ulteriore ampliamento dello staff. Tutto questo si effettua con il supporto del nostro ufficio di Roma che coordina tutti i progetti di “Missione Italia”.

Quale la situazione trovata a Gorizia al vostro arrivo e quali emergenze sanitarie e umanitarie avete riscontrato?Ci sono in città posti di accoglienza sottoposti a convenzioni, tuttavia non sono abbastanza per coprire il bisogno segnato dal flusso continuo di persone. Quando siamo arrivati c’erano più o meno 150 persone che vivevano all’addiaccio sulle sponde dell’Isonzo. Sono state evacuate e sistemate ma abbiamo osservato un flusso costante: 150 persone accolte, seguite da altri nuovi arrivi che non erano accolti come si deve. E questo ciclo continua: si arriva a una soglia importante, c’è una risposta, poi il flusso prosegue e queste nuove persone non sono prese in carico per un certo tempo. Qualche settimana fa c’erano quasi 300 persone fuori convenzione, non accolte quindi dalle strutture governative ma dalla Caritas, che ha fatto un gran lavoro per poterle accogliere in modo dignitoso. Hanno diritto a ricevere un’assistenza sanitaria, una protezione, del cibo. Per questo diciamo che la risposta non è adeguata, nel senso che non c’è una struttura che permetta di accogliere queste persone in maniera regolare, ma solo quando la situazione arriva ad un punto preoccupante c’è una risposta, che non è continua e adeguata. Lo scorso venerdì erano rimaste solo 10 persone fuori convenzione; tempo di arrivare a domenica erano già 50.Discutendo con l’ASS e la CRI, abbiamo osservato come le persone che arrivano in città siano in buona salute ma ci sono alcuni problemi come infezioni alle vie respiratorie e dermatologici, legati soprattutto all’igiene che a sua volta è legata alle condizioni di vita sia durante il viaggio che una volta arrivati se costretti a vivere all’addiaccio. I rischi sanitari sono monitorati dall’Azienda Sanitaria e dalla Croce Rossa e al momento non abbiamo mai corso in città nessun rischio per la salute pubblica. La priorità resta comunque mettere un tetto sulla testa di queste persone, perché è da lì che si determina la loro salute.

Riguardo i container installati al San Giuseppe, questi sono strutturati per contenere diverse persone. Cosa vi aspettate per Gorizia? Dobbiamo attendere un incremento negli arrivi o semplicemente sono queste le quantità di cui si aveva bisogno al momento?Nel nostro monitoraggio, circa tre settimane fa, abbiamo potuto vedere che il numero massimo di persone non accolte nelle strutture governative era di 300 persone. Il nostro intervento (i container sono strutturati per accogliere 100 persone) risponde ad un bisogno legato al momento attuale; chiaro è che, qualora ci sia un arrivo massiccio, le istituzioni italiane dovranno rispondere con altri mezzi. Noi stiamo anche operando per comprendere quali piani, a livello locale e regionale, saranno messi a disposizione ma al momento non abbiamo un’idea chiara di quello che sarà attuato.

In sintesi, chi sono questi richiedenti asilo?Sono tutti uomini, giovani, sui quali le famiglie investono, per lo più afghani e pakistani. Non avendo ancora cominciato le attività non abbiamo un contatto diretto con loro ma certamente lo avremo quando lo spazio al San Giuseppe sarà ufficialmente operativo: le strutture sono montate, stiamo attendendo gli allacciamenti di luce e acqua, che dovrebbero avvenire a brevissimo. Compiuti quelli attueremo ancora un paio di lavori logistici e cominceremo le nostre attività mediche. Speriamo tra 10 o 15 giorni di essere operativi.

Guardando a quello che sta succedendo vicino a noi, in Slovenia, Croazia e area balcanica, dove si parla o si sono già realizzati muri per bloccare i flussi di profughi, qual è la prospettiva a lungo termine per la nostra città? Dobbiamo aspettarci flussi in arrivo da altre parti?È molto difficile fare qualsiasi tipo di previsione, perché ci sono tantissimi parametri che possono avere un impatto. Tutti i Paesi coinvolti possono prendere delle decisioni molto rapide, che possono cambiare velocemente le dinamiche, pertanto è difficile sapere come potrebbe evolvere la situazione. Per questo riteniamo sia importante che ci sia una preparazione nel caso in cui i flussi diventino più importanti; non è solo la città che deve trovarsi preparata, ma la Regione e proprio in questo periodo stiamo monitorando con delle osservazioni anche Udine e Trieste.