“Un Paese piccolo ma con il cuore grande”

Il salesiano don Fabrizio Iacuzzi ha alle spalle una lunga esperienza nel campo educativo: prima presso l’Istituto salesiano “Bearzi” di Udine, quindi come supporto alla Comunità salesiana di Santa Maria la longa, per arrivare poi a Gorizia, dove ha operato per un quinquennio ricoprendo anche il ruolo di responsabile della Comunità per i minori stranieri non accompagnati. Nelle scorse settimane è arrivata per lui una nuova chiamata, che l’ha portato a Chisinau, in Moldiavia, alla Fundatia Don Bosco, il Centro Giovanile salesiano dove opera anche don Sergio Bergamin, che abbiamo avuto modo di intervistare qualche numero fa.Abbiamo incontrato don Fabrizio in videochiamata per farci raccontare da lui le primissime impressioni di questa nuova esperienza all’estero, in un periodo così complicato e impegnativo – il Centro infatti in questo momento ospita numerosi rifugiati in fuga dall’Ucraina -.Per farci meglio comprendere il lavoro all’interno della Fondazione, don Fabrizio è apparso sullo schermo accompagnato da alcuni amici: Stefan, che presta il suo servizio come psicologo, Marianna, educatrice, e Irina, ricercatrice universitaria da Kyiv, ospite del Centro come rifugiata assieme alla sua famiglia.

StefanA prendere la parola per primo, dopo i calorosi saluti e le presentazioni, è Stefan, psicologo presso la Fundatia Don Bosco, che si compone del Centro Giovanile e della Casa Famiglia. Quest’ultima, che può ospitare fino a 10 bambini e ragazzi, al momento ne ospita due, seguiti proprio da Stefan. Il suo lavoro però negli ultimi mesi è cambiato ed è proprio lui a raccontarcelo:“Fino a fine febbraio, principalmente al nostro Centro lavoravo con i bambini. Poi è incominciata questa guerra e sono arrivati da noi i primi rifugiati in cerca di aiuto e alloggio. Ho così iniziato a lavorare parallelamente sulle due parti: con i rifugiati e con i bambini già ospiti della nostra casa famiglia. Mi occupo di prestare a tutti loro supporto psicologico; in questo momento ospitiamo circa 20 rifugiati e due bambini in Casa Famiglia.Nel primo periodo della guerra era importante spiegare loro dove fossero, cosa stesse succedendo nel loro Paese e intorno a loro, perché si trovassero qui e cosa facessimo noi lì, che aiuto potessimo dare loro. Tutto questo è finalizzato a far sì che queste persone possano sentirsi più a loro agio: è importante sapere dove sei e chi ti circonda, soprattutto in un momento destabilizzante come quello vissuto da loro.Gli arrivi ora si sono ridimensionati – in ogni caso dall’inizio del conflitto a oggi sono passate da noi almeno un centinaio di persone – e abbiamo degli ospiti che hanno scelto di fermarsi qui con noi. Ora che si sono “stabilizzati” e messi più a loro agio, vengono di loro iniziativa da me per parlare. Parliamo delle difficoltà, che sono molto differenti da persona a persona, da caso a caso; vanno dall’aspetto legato alla famiglia, ai traumi personali dovuti agli eventi successi e in corso. Si toccano poi anche aspetti pratici, come per esempio trovare un appartamento che possa ospitare anche i loro animali domestici – aspetto importante la vicinanza di questi in un momento delicato della loro vita, ma che non sempre sono accettati negli appartamenti destinati ai rifugiati -“.Chiediamo a Stefan quindi se il fatto, per queste persone, di essersi fermate in Moldavia rappresenti un modo per essere più vicini a casa per un possibile rientro:“Sì, certamente; i rifugiati esprimono sempre il desiderio forte di poter rientrare quanto prima a casa o comunque in Ucraina. Durante la Pasqua alcuni hanno fatto rientro, solo per un paio di giorni, perché volevano rimanere vicino a chi non era potuto partire, ai genitori, ai padri, ai mariti. Sono però poi ripartiti subito dopo, perché la situazione nei loro paesi e villaggi non era ancora sicura. Tutti loro però hanno questo desiderio, veramente grande, di poter ritornare a casa, è un sentire comune tra tutta la popolazione ucraina in fuga dal conflitto. Questo è proprio uno dei motivi per cui in molti si fermano qui in Moldavia, per essere più vicini al loro Paese e poter rientrare in pochi giorni, non appena si sentiranno sicuri”.Come ultima cosa chiediamo a Stefan come si rapporti con i bambini ucraini in questo momento così difficile da vivere. Ci spiega così che“Loro sono i più fragili e quelli con cui bisogna essere più delicati; quindi giochiamo – è la migliore terapia se ci si vuole avvicinare a loro -. Giocando insieme spesso si aprono e iniziano a parlarmi, di qualsiasi cosa. È un modo per metterli più a loro agio e così è molto più naturale poi per loro parlare – anche per me lo è! È più facile in questo modo avvicinarsi a loro, creare un contatto -“.

IrinaDon Fabrizio ci introduce poi Irina. Arriva da Kyiv, proprio dal centro della città, è una ricercatrice informatica e si trova a Chisinau insieme alla madre, docente universitaria di Inglese, e il padre, anche lui docente universitario ma di Matematica. Sono partiti dalla capitale dopo circa 10 giorni dall’inizio del conflitto: Irina stessa ci spiega che hanno provato a resistere per un po’ ma poi hanno preso la decisione di allontanarsi; vivendo in centro città era troppa la paura per i continui bombardamenti e la situazione per nulla sicura.Fabrizio ci spiega così che, al Centro Don Bosco,”Stanno facendo un bellissimo lavoro di integrazione perché, nella nostra Casa Famiglia, hanno scelto di prestare la loro opera di insegnamento per il tempo in cui rimarranno qui con noi. È una famiglia molto integrata, nonostante tutte le fatiche e i dolori; sono molto legati alla nostra esperienza e, anche nel dolore, stanno facendo tanto bene e vogliono molto bene ai bambini che ospitiamo alla Casa, Marin e Johan, a cui stanno dedicando molto del loro tempo, che offriranno anche per le attività del Centro Estivo dedicato ai bambini ucraini che stiamo avviando”.Chiediamo allora ad Irina come sia per loro, docenti universitari, quest’esperienza di insegnamento a una platea decisamente più giovane:“Insegnare a ragazzi così giovani, a bambini, è per noi un’esperienza totalmente nuova e, paradossalmente, ci siamo resi conto di come sia molto più difficile insegnare ai piccoli che ai grandi! Ad ogni modo è una cosa che fa tanto bene, sia a noi, che a loro.All’inizio le cose sono state un po’ complicate, perché si trattava di superare l’ostacolo della lingua – solo uno dei bambini della casa famiglia capiva un po’ di russo – ma le cose ora sono molto migliorate dal punto di vista della comunicazione da entrambe le parti, ci aiutiamo a vicenda.Dal mio punto di vista, avere la possibilità di continuare in qualche modo a fare quello che facevamo prima, anche se con studenti di età diverse, ci aiuta molto – anche a non pensare per un po’ ai tanti problemi che in questo momento affliggono l’Ucraina -, facendo qualcosa di buono che aiuta questi bambini”.Spieghiamo quindi a Irina che, sul nostro territorio, molti dei bambini e ragazzi ospitati riescono a seguire le lezioni in Didattica a Distanza che i loro istituti in Ucraina riescono ad organizzare. Le chiediamo se sia così anche per l’università e la ragazza ci spiega che“Per un mese tutte le scuole e le università sono state chiuse e non ci sono state nemmeno attività online. Dall’inizio di aprile la nostra università ha, in qualche modo, riaperto e anche noi abbiamo potuto iniziare le lezioni in modalità online – ovviamente, purtroppo, solo per chi ha la possibilità di connettersi -. Tutto questo è molto importante, è un passo verso il ricominciare di nuovo. Specialmente per i ragazzi è rilevante capire che possono fare qualcosa che va oltre la guerra, oltre le sirene e i bombardamenti”.Prima di salutarla le chiediamo quale sia la situazione nell’area di Kyiv da cui lei proviene e se stiano forse già programmando un rientro:“La situazione a Kyiv ora è migliore rispetto a quando siamo scappati, alcuni dei miei amici hanno già fatto rientro in città e proprio ieri uno di loro mi ha raccontato che alcune scuole dell’infanzia hanno riaperto: sono passi molto buoni e molto importanti. Anche noi vogliamo ritornare a casa presto, non abbiamo mai smesso di pensarlo dal primo giorno in cui siamo venuti via, motivo per cui abbiamo scelto di fermarci qui a Chisinau, per essere più vicini all’Ucraina; ma per come stanno ancora le cose, credo rimarremo qui in Moldavia ancora per un po’ di tempo”.

MariannaMarianna è moldava, studia Scienze dell’Educazione e Lingue ed è un’animatrice presso la Fundatia Don Bosco. Dalla scorsa settimana è impegnata all’oratorio del Centro con un grande centro estivo dedicato ai ragazzi e bambini ucraini, che accoglie ben 160 iscritti.“Le attività dureranno un mese – ci racconta la ragazza – e non accoglieranno solo ragazzi e bambini che ora vivono in città ma anche molti da fuori Chisinau, dai paesi più piccoli dei dintorni, dove le loro famiglie hanno trovato case o appartamenti. Visto il grande numero di iscritti, abbiamo deciso di dividere i ragazzi in due gruppi: 80 frequenteranno le prime due settimane, gli altri 80 le ultime due settimane; a seguirli saremo circa 15 persone tra animatori, educatori e personale del Centro.Quando ho avuto modo di parlare con le mamme, ma anche con gli stessi bambini, ho visto tanta attesa per questo Centro Estivo: è qualcosa che hanno aspettato e desiderato tanto. Però ho visto le mamme anche un po’ spaventate, ovviamente per i traumi che hanno vissuto, ma felici per questa possibilità per i loro figli e per loro stesse (perché molte di loro continuano a lavorare da remoto o hanno trovato qualche occupazione qui per essere un po’ più indipendenti)”.Ci facciamo raccontare da Marianna quale sarà una “giornata tipo” al centro estivo:“La giornata si svolgerà con, al mattino, delle lezioni di Rumeno e un’attività a scelta tra Inglese, Informatica e Matematica – lezioni che saranno impartite da Irina e dai suoi genitori -. Poi ci sarà il pranzo e, a seguire, dei laboratori di attività manuale, che i bambini cambieranno ogni due giorni in modo da provare un po’ tutto. A concludere la giornata, il Grande Gioco tutti insieme all’aperto, negli spazi del nostro cortile. Li divideremo di volta in volta anche in squadre, in modo da stimolarli e creare un po’ di competizione “sana”.Sono bambini che vivono lontani dal loro Paese, in una situazione che non si può nemmeno immaginare; abbiamo cercato di creare per loro attività che li facessero svagare e che restituissero la loro dimensione di bambini”.

Don FabrizioA concludere la nostra videochiamata è proprio don Fabrizio, dal quale ci facciamo confidare le prime impressioni, dopo circa 15 giorni di permanenza in Moldavia, non solo sulla sua esperienza personale ma anche su questo Paese che ha spalancato le porte a questa popolazione bisognosa di aiuto.“Qui in Moldavia si sente un forte desiderio di Europa. C’è un forte senso di libertà, di apertura, di desiderio di una vita vissuta. Certo, tantissimi giovani se ne vanno per studiare o per cercare lavoro all’estero, ma altrettanti rimangono perché hanno un forte desiderio che il loro Paese cresca e sanno che loro stessi giocano un ruolo primario in questo. Trovo un parallelismo in ciò con il forte desiderio di tanti giovani ucraini di tornare al più presto nel loro Paese, per farlo ricominciare e farlo rivivere.La Moldavia un bel Paese, ci sono persone davvero con il cuore buono. Arrivando all’aeroporto mi ha colpito una scritta che diceva “Un Paese piccolo ma con il cuore grande”, ed è vero. Sono contento di essere qui, è un’esperienza molto bella. Riguardo appunto la mia esperienza personale, quest’anno dovevo terminare gli studi, quindi ho “staccato” un po’ dal lavoro. Ad un certo punto però c’è stato bisogno di una mano qui a Chisinau, proposta che ho accolto con entusiasmo. Sono qui a “tempo indeterminato”, nel senso che la mia permanenza è legata alle necessità e ai bisogni che si presenteranno nelle prossime settimane e mesi qui al Centro. Il mio intervento è legato alla presenza qui dei profughi dall’Ucraina ma dò una mano anche nella gestione della Casa Famiglia, per assistenza nelle ore serali ai ragazzini, e nelle prossime settimane aiuterò al Centro Estivo; sono un po’ cose in cui ho sempre avuto “le mani in pasta””.Prima di salutarci, chiediamo a don Fabrizio come veda lo “spirito salesiano” nel mondo e l’apporto che questo può dare, anche in situazioni di emergenza come l’attuale:“La cosa bella che osservo sempre è la possibilità, quando fai educazione, di passare dall’assistenzialismo alla logica della restituzione. Vedo questo nella nostra Irina, sua mamma, suo papà ma anche in tanti altri profughi che, per esempio, danno una mano in cucina o i ragazzi più grandi che faranno gli animatori al Centro estivo. Arrivati qui da noi per uno strano caso della vita, possono avere loro stessi la possibilità di mettersi a servizio dei più piccoli. Vedo che l’esperienza salesiana dona questa occasione: arrivi per un motivo, rimani per un altro. Credo sia questo lo “spirito salesiano” e lo trovo a qualsiasi latitudine e longitudine”.