Settimanali cattolici: un servizio che va incentivato

Anche quest’anno è arrivato l’appuntamento con la “Giornata di Voce Isontina”. Abbiamo deciso di celebrare questo “anniversario” insieme a don Adriano Bianchi, presidente della Fisc – Federazione Italiana Settimanali Cattolici, che ha fatto per noi un bilancio sul lavoro e sul compito che questi periodici hanno sul territorio nazionale, guardando anche alle nuove sfide che il futuro ci propone.

Don Adriano, qual è attualmente lo “stato di salute” dei settimanali cattolici in Italia?

La salute è un po’ precaria, perché anch’essi subiscono quella che è la crisi generale dell’editoria, che va dai “grandi” giornali come il New York Times in giù, non è un fenomeno di per sé legato ai giornali cattolici in generale, ma a tutti i giornali con la crisi della carta, della lettura, l’ingresso di Internet e delle nuove tecnologie.Tutta la carta stampata è in difficoltà e i nostri giornali vivono questa crisi generalizzata anche se, nel sistema, proprio per la loro identità e territorialità, sono anche quelli che, in qualche modo, resistono di più a queste difficoltà, perché raccontano cose che non sono disponibili alla grande informazione. È il legame con il territorio a garantire una tenuta diversa, pur nella crisi.L’altro motivo di precarietà è legato a una motivazione nella stampa e nel servizio che noi compiamo, nelle nostre chiese e territori, che va sicuramente incentivato da parte soprattutto delle nostre comunità, dei nostri preti e dei nostri vescovi, affinché il compito che svolgiamo venga colto nel suo valore fondamentale, che è quello di essere servizio della comunione ecclesiale e dell’evangelizzazione attraverso un mestiere specifico, quello del giornalista.

Come si sta affrontando la nuova sfida posta dal web, che ci chiama ad essere più multimediali? Al suo interno, che ruolo ha il nostro giornalismo?

Siamo un attimo in ritardo rispetto alla presenza e alla capacità di penetrazione nel web, poiché nascendo come giornali cartacei e avendo normalmente redazioni limitate dal punto di vista numerico e risorse a volte ristrette, la sfida del web, pur recependola, facciamo fatica ad affrontarla, poiché i nostri giornalisti e le nostre redazioni devono ancora compiere – in parte l’hanno fatto, in parte lo devono compiere – un percorso di professionalizzazione in senso multimediale, che permetterebbe di gestire meglio tutti i canali di tipo informativo.In ogni caso ormai la percentuale dei nostri giornali che si sono attrezzati anche con un sito internet è molto alta e spesso riescono ad offrire un “giornale a sé” con un’informazione più quotidiana e aggiornata, con notizie che magari non si trovano sul cartaceo.Anche dal punto di vista dei social la presenza è interessante, soprattutto su Facebook e Twitter, e pongono un completamento del servizio informativo che compiamo.Sicuramente la multimedialità è un valore da cogliere, non possiamo non esserci, avendo però ben chiaro che l’informazione che noi andiamo a fare sul web è economicamente sostenibile solo se la parte cartacea regge: le risorse per poter fare informazione e comunicazione diocesana, con tutti i canali possibili, stanno in piedi solo se si muovono attorno a un giornale cartaceo che, ad oggi, garantisce una sostenibilità economica tramite la pubblicità, i contributi statali, gli abbonamenti.

Rimanendo sul tema “web”, riguardo alle cosiddette fake news – che saranno anche tematica, con il giornalismo di pace, della Giornata delle Comunicazioni Sociali del prossimo anno -, come possiamo noi giornali cattolici affrontare queste notizie? Che compito rivestiamo?

Noi facciamo leva sull’autorevolezza delle nostre testate sui territori, che è dettata da una storia – spesso non recente e in alcuni casi addirittura secolare – e dagli editori, che sono le nostre Chiese locali, i nostri vescovi, le nostre diocesi, che danno a ciò che noi scriviamo un’autorevolezza che è anche una responsabilità. Per noi giornalisti cattolici lo scrivere su un giornale, un sito, dei social, che hanno come base una testata cattolica, implica una consapevolezza e una presa in carico che non è indifferente e ci deve responsabilizzare rispetto a ciò che scriviamo e facciamo, proprio perché l’informazione che veicoliamo sia assolutamente adeguata, deontologicamente ineccepibile, professionale e verificata. Ovvero tutto ciò che le fake news non sono. Nei confronti di chi riporta un’informazione falsa, il nostro compito è quello di spostare l’attenzione su ciò che è vero, su ciò che in quel momento il mondo dell’informazione nasconde.In un certo senso noi recuperiamo quest’aspetto anche nel compito dell’evangelizzazione: evangelizzare attraverso l’informazione significa accendere i riflettori su quello che normalmente l’informazione non vuole far vedere, accendendo a sua volta i riflettori su notizie non vere e tacendo molte altre. Noi dobbiamo combattere le fake news non solo smentendole, ma anche tenendo continuamente alta l’attenzione su quello che non traspare. In questo noi costruiamo anche un giornalismo di pace, nel senso che è un giornalismo che mira in parte alla denuncia, ma prevalentemente alla proposta – penso alle buone storie, alla buona stampa, alle buone pratiche – di tutto quello che serve a costruire un senso di comunità e una società migliore, più equa e più giusta.

Guardiamo ora al mondo dell’editoria e alla nuova legge che la riguarda. Quali saranno i maggiori cambiamenti per i nostri giornali e quali sfide dovremmo saper cogliere?

La nuova legge sull’editoria è a mio avviso una buona legge, come anche i decreti e i regolamenti usciti e che – in un dialogo continuo che abbiamo avuto con il Dipartimento dell’Editoria – ci hanno permesso di avere un quadro di riferimento normativo dentro il quale potranno entrare una discreta parte delle nostre realtà, con piccoli o grandi cambiamenti, che però ci aiutano sicuramente ad andare nella linea di una maggiore istituzionalità, professionalità e di un lavoro che assuma dei parametri dignitosi dal punto di vista sia del lavoro giornalistico, che del servizio che si fa al Paese, al pluralismo e all’informazione.La legge è quindi un quadro di riferimento soddisfacente per molti aspetti – richiede un certo numero di copie, la presenza di un sito internet, lavora sul tema del fatturato… -; dal momento che abbiamo delle realtà piuttosto solide, riteniamo che i contributi che potremo ricevere, potranno essere significativi, dando un respiro completamento diverso al lavoro.Ci sono tutta una serie di criteri da rispettare e in questi mesi stiamo facendo, come Fisc, un grande lavoro non solo di dialogo con il Ministero ma anche e soprattutto con le redazioni, con le diocesi, con i nostri territori, affinché sia possibile integrare il mondo della carta stampata con il mondo delle radio e del web, costituendo soggetti adeguati dal punto di vista giuridico per raggiungere quei parametri che permetteranno di accedere ai contributi.

Per concludere, abbiamo parlato poco fa di Fisc: un piccolo bilancio e un pensiero sui 50 anni della nostra Federazione.

Credo che il nostro lavoro e il nostro impegno in questi 50 anni sia stato quello di aver mantenuto da un lato vivo, all’interno delle nostre Chiese, il servizio alla comunione e all’evangelizzazione attraverso appunto il mestiere del giornalista, con un’identità legata alla Chiesa, alla gente e al territorio che da sempre ci caratterizza. Non era scontato e ciò è avvenuto proprio perché questa “compagnia” di persone, questa amicizia tra i direttori di tutta Italia ha mantenuto limpida questa identità.Dall’altro lato la federazione è andata a sostenere, attraverso questa fitta rete di rapporti e relazioni, quelle situazioni e quei luoghi che a volte si sono trovati più in difficoltà. Siamo certamente delle realtà molto diverse tra di noi, ma ci siamo sempre sostenuti e questo è fondamentale.Oltre a ciò, nell’ultimo periodo, abbiamo assistito ad una rinnovata sintonia dentro la CEI, con l’Ufficio per le Comunicazioni sociali, e anche con tutti gli altri mondi dell’editoria cattolica (Corallo, Acec…)La sfida per il futuro è quella di crescere nel contesto della comunicazione diocesana entrando in contatto sinergico anche con altre realtà artefici di questa comunicazione: non ci sono prima i giornali, o prima le radio o i siti, ma sono un lavoro d’insieme, sinergico, che aiuta a rispondere al nostro compito, che non ci siamo dati noi ma che ci è stato affidato dalla Chiesa.

Il 16 dicembre i direttori FISC e i membri dell’USPI saranno ricevuti da papa Francesco.