Scuola: un investimento per il futuro di tutta la società

A pochi giorni dal 1° maggio, giornata in cui si celebrano il Lavoro e i Lavoratori, abbiamo avuto l’opportunità di dialogare con Ugo Previti, segretario regionale Uil Scuola FVG.Diverse le tematiche che abbiamo affrontato insieme a lui, che hanno riguardato in particolare il mondo della Scuola – negli ultimi due anni colpito da numerosi e inattesi scossoni – non mancando però di riflettere anche sulla società e sul mondo del lavoro in generale, con alcuni focus anche sui giovani, eccellenze che spesso, purtroppo, non vengono re-investite nel nostro Paese.

In questo momento in cui ci troviamo con un’economia colpita da una nuova crisi, nata dalla pandemia ma anche dalla guerra in corso alle porte dell’Europa, in tale contesto quale situazione vive il mondo del lavoro? E quale lo “stato di salute” della Scuola?Ovviamente, lo vediamo ogni giorno, non viviamo un momento idilliaco: la crisi di lavoro c’è, la pandemia ci ha messo del suo, poi la successiva crisi e quindi la guerra… la gente è entrata in crisi.Le aziende, il privato e il pubblico e anche la scuola ne hanno pesantemente risentito.Faccio riferimento in particolare proprio alla scuola, che ne ha risentito per tanti motivi: il primo, il fatto di non essere preparata allo scoppio della pandemia – nessuno lo era – ma devo dire che tutti, in un modo o nell’altro, hanno cercato nelle diverse fasi di mantenere il più possibile gli uffici aperti: appena c’era la possibilità le persone erano là a lavorare, a sanificare, in alcuni momenti la scuola era aperta con i ragazzi per i laboratori, in altri no… è stato un momento particolare per il quale è stato necessario attrezzarsi.Altro esempio con cui la scuola ha avuto a che fare: la connessione internet casalinga, che spesso e volentieri ha creato problemi – in alcune famiglie si aveva ad esempio la mamma collegata da remoto per il suo lavoro, magari proprio di insegnante, il figlio più grande collegato per le sue lezioni e un altro o più figli con le stesse necessità -.Sono convinto che, viste queste problematiche, il mondo della scuola ne sia uscito dignitosamente bene.Il problema rimane per tutta la parte economica, con aziende in crisi, chiusure, un’economia che ha girato poco.La società ne ha risentito (e ne risentiamo ancora tutto sommato).Personalmente ho firmato tante casse-integrazioni nella formazione professionale degli istituti privati e nei centri di formazione.Immagino quindi gli altri settori, che magari per diversi mesi non hanno potuto produrre.In questo la scuola è un “mondo a parte” all’interno del pubblico impiego e rappresenta un investimento a lungo termine che forma i nostri futuri operai, farmacisti, ingegneri, politici…Per questo motivo dobbiamo investire su di essa, non con circolari e decreti ma valorizzando le figure già esistenti, non creandone delle altre.Non servono figure in più, serve investire, anche economicamente, su tutti, dal collaboratore scolastico, agli insegnanti, ai dirigenti.Sono tutti educatori, ognuno con il suo specifico compito.

Legato a questo, quali a suo avviso i passi strettamente necessari per avviare una ripresa tanto economica, quanto occupazionale?Ancora una volta desidero fare riferimento al mondo della scuola. Assolutamente qualificando le figure che già ci sono, aumentando anche il personale e i contratti full time, per garantire una presenza adeguata e un adeguato funzionamento del “sistema scuola”, che va dalla presenza dei collaboratori scolastici – grande aiuto agli insegnanti, in particolare per le scuole primarie – ma anche nelle segreterie, che devono gestire un’importante mole di lavoro amministrativo e archivistico.Come dicevo, investire sul personale nel mondo della scuola è un investimento non a perdere ma a lungo termine che deve essere garantito.Nel resto del mondo del lavoro, tanto privato quanto pubblico, ora la situazione sta iniziando a riprendersi, anche se non è facile ripartire; è necessario quindi stimolare le persone a riprendere a lavorare, dandogli maggiori sicurezze e garanzie in termini di occupazione e contrattuali.

Lei, che per la Uil si occupa in particolare della Scuola, in quest’epoca post-pandemica quali criticità nell’occupazione in questo settore rileva maggiormente?Innanzitutto la necessità di uscire dalla mentalità della pandemia. Mi spiego: sono convinto che le persone non siano ancora mentalmente uscite dagli ultimi due/tre anni, ce li portiamo tutti dentro, anche se non lo dimostriamo. Siamo in un certo senso tutti un po’ più chiusi rispetto a prima; ci troviamo in un mondo un po’ “isolato”, invece ci deve essere una comunità – soprattutto in quello della scuola! -.Se non capiamo questo, non riusciamo a dialogare l’uno con l’altro, a parlare, perché spesso e volentieri rileviamo questo timore di parlare, siamo più “muti” rispetto a prima.Altra criticità che segnaliamo, è che la scuola è un perno per tutta la società, dobbiamo quindi qualificarla e dare autorevolezza a tutto il suo personale. Sempre più spesso negli ultimi anni si sente di aggressioni a maestri, professori, collaboratori scolastici…Dobbiamo far sì che le famiglie diano autorevolezza ai professionisti della scuola, in un patto educativo di comunità, pensando al futuro dei ragazzi, altrimenti non se ne esce.Idem per le altre specialità, come ad esempio nella sanità, anche questa sempre più spesso soggetta ad aggressioni.Nella nostra regione per fortuna la situazione è tranquilla, non si registrano grandi casi (ma piccoli episodi capitano).

Spesso ha fatto riferimento al futuro occupazionale dei più giovani, proprio attraverso un investimento nel mondo della Scuola. In questo ultimo periodo si sente spesso dire che i giovani “non hanno voglia di lavorare”. Secondo lei ciò corrisponde al vero? O magari hanno semplicemente una coscienza sui diritti e doveri del lavoratore che magari 10 o 20 anni fa i loro pari età non avevano?Tutto parte dal fatto, a mio avviso, che in Italia non riconosciamo la professionalità dei ragazzi, mentre nel resto dei Paesi se si nota che una persona è valida, gli viene lasciato spazio e data opportunità per proseguire con la propria carriera, all’interno dell’azienda o del gruppo di appartenenza.Forse manca questo nei nostri datori di lavoro.Un esempio semplice: in Italia se in una ditta entri operaio, magari già ben qualificato, molto probabilmente rimarrai operaio a vita; non c’è riconoscenza della professionalità dei nostri giovani, mentre all’estero trovano, con il tempo, più possibilità di emergereAbbiamo tanti ragazzi in gamba nel Paese ma le nostre eccellenze spesso preferiscono, dopo un’ottima formazione ricevuta proprio in Italia, cercare spazio altrove.Ci manca la capacità di “tenerli con noi”, mandiamo i nostri ragazzi “fuori” e non ce ne curiamo.Se iniziassimo a riconoscere le loro capacità, qualità e professionalità, forse avranno più voglia di rimanere nel nostro Paese, impegnandosi nelle professioni che gli vengono proposte.