Questione di stile

Prima che il presidente Mattarella incaricasse il professor Draghi, il caos aveva ingabbiato la nostra repubblica parlamentare. La decadenza del ceto politico italiano si è consumata in uno show cinguettante, rissoso e inconcludente. Sovraesposizioni, incompetenze e pragmatismi (versione 2.0 del trasformismo) hanno penosamente calcato la ribalta, mentre il Paese, di smottamento in smottamento, sprofondava. Sempre più disorientato, lacerato. Angosciato per le morti quotidiane, le diseguaglianze crescenti, le mutazioni del virus più rapide della campagna vaccinale.Ora che una diversa esperienza si è aperta ed è attesa alla prova dei fatti, la buona probabilità che alle parole indispensabili seguiranno le azioni non più rinviabili, pare quasi una stravaganza. La sobrietà comunicativa -niente a che spartire con l’osservanza incolore delle buone maniere- appartiene ad altri tempi, per cui, se oggi riaffiora coniugata a riconosciuta competenza (di solito le due cose si accompagnano) non può che meravigliare l’opinione pubblica. Il salto olimpionico dal sovranismo mediatico dei social network a cui si sono consegnati i partiti, al principio per cui “si parla solo quando si ha qualcosa da dire”, segna una svolta che vale quanto un’iniezione di fiducia. Una prima certezza che dà sollievo.Salvare la patria è missione da età eroiche spiranti amor di patria. Tirare fuori la nazione dalla pandemia e dalla recessione rilanciandola con riforme strategiche è operazione da età di mezzo che esige sapienza ideativa e coraggio decisionale, al ritmo programmatico di “tempo e velocità”, perché il giusto tempo per trovare soluzioni lungimiranti, all’altezza del futuro prossimo che è già qui, permette di guadagnare in efficacia di interventi necessari, a partire dai fronti più esposti, dove mobilitare per intero le risorse utili ad attrezzarli. Con la consapevolezza che le difficoltà maggiori dell’impresa si raccolgono nello stesso Parlamento.La rinascita potrà avvenire se farà perno su quell’alchimia di preparazione, carisma e visione che si chiama autorevolezza: questa dispone all’ascolto, si tocca nell’aria e vi rimane lasciando nitida la propria traccia. Come lo stile. Lo sapeva bene Mademoiselle, lo stile resta. Cifra di un talento che nulla ha da esibire, riverbero luminoso di un colpo d’ala, impronta durevole d’intelligenza preveggente e sottile sensibilità. Con un corollario: lo stilista di genio realizza i bozzetti di una collezione con il tratto rapido di chi vede l’insieme e i dettagli, ma perché l’idea sia cucita nella sua forma si richiede l’opera di una sartoria di rango, co-autrice di alte creazioni. Autorevolezza di leadership e rappresentanza critico-propositiva di qualità sono alla base di un governo che agisca per il bene pubblico. La presente condizione di una politica commissariata obbliga i partiti a ristrutturarsi, se vogliono riacquistare credibilità. Ne va della democrazia e della dignità di un Paese da rianimare. Per intanto il cambiamento di stoffa al vertice si fonde con la mutazione del linguaggio, incisivo, e del tono, pacato. In un mondo in cui la misura comunicativa da tempo non si reputa una virtù né civile né estetica, dovremmo esserne lieti. A compensare l’amarissimo boccone di una maggioranza fantasmagorica allestita per l’ultima chiamata.