Porto e territorio: sistema vincente

In porto (quello di Trieste) ed il suo territorio (l’intera regione Friuli Venezia Giulia) capaci di fare sistema: è questa la strada che il presidente dell’Autorità di sistema portuale del mar Adriatico orientale, Zeno d’Agostino, ha più volte indicato e perseguito da quando il suo mandato l’ha portato alla guida del porto di Trieste.

Presidente, Lei ripete spesso che è necessario “abituarsi allo shock”. Dal 2000 ad oggi ci siamo dovuti confrontare con una serie di shock non da poco: le Torri gemelle nel 2001, la crisi economica del 2007-2009, il Covid… solo per citarne alcuni. Pare quasi che la globalizzazione ci abbia portato come certezza l’insicurezza. Ma per chi è chiamato a programmare, ad organizzare, a ragionare oggi pensando al dopodomani, come è possibile “abituarsi allo shock”?Dobbiamo imparare a gestire la complessità. Globalizzazione, impatto della tecnologia ed altri elementi si sommano ed hanno come effetto anche questa specie di caos con cui siamo chiamati a confrontarci: trovare in tutto questo la quadra non solo non è semplice ma anzi risulta più complicato rispetto al passato. Sono molto invidioso quando entro nei locali dell’Autorità a Trieste e vedo i progetti delle varie opere portuali redatti a mano dai funzionari austriaci prima e italiani poi nel secolo scorso: quello che emerge da quei disegni è un approccio diverso al tempo. Allora se ne aveva a disposizione molto di più per progettare e programmare: le cose non mutavano nei decenni e si realizzava sapendo che quanto si costruiva avrebbe avuto un ciclo di vita molto più ampio rispetto ad oggi.Il vero tema è il non pensare mai di essere nel “giusto”, di avere le soluzioni in mano. È necessario rendersi conto che anche se si sta assumendo quella che al momento appare come soluzione più idonea, quando si comprende che le cose stanno andando in maniera diversa bisogna avere già pronto un piano alternativo B,C,D… Si programma e si pianifica avendo sempre delle vie d’uscita.C’è, poi, un’altra cosa da tenere presente anche se appare così lontana dalla diffusa visione attuale.Quando si rende necessario un cambiamento, è fondamentale procedere senza soffermarsi in inutili discussioni o in polemiche inconcludenti: se una cosa è andata male bisogna cambiarla subito, senza  perdere troppo tempo per capire cosa è successo o di chi sia la colpa.Questo è un aspetto che ribadisco spesso a chi lavora con me: si pianifica, si usano tutte le informazioni utili per programmare diverse strategie ma se nel momento della concretizzazione ci si trova dinanzi una realtà diversa da quanto ipotizzato è fondamentale trovare un’altra soluzione il più rapidamente possibile.Quando sono arrivato a Trieste, mi parlavano del porto di Capodistria o di quello di Venezia. Ho ribattuto: “Guardiamo solo quello che dobbiamo fare noi e studiamo quello che fanno gli altri senza però voler essere sempre in competizione con loro. Portiamo avanti le nostre strategie e non fermiamoci ad osservare quello che accade a destra o a sinistra o indietro. Guardiamo ed andiamo sempre avanti”.Ecco, ritengo sia questo il modo migliore per uscire da una situazione caotica e di shock.

Per rimanere in tema di shock. Papa Francesco ci ha ricordato che “Peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla”. Come fare perché questo tempo di “pandemia” non vada sprecato e diventi occasione di ripresa? C’è un qualcosa di “positivo” che possiamo recuperare da questo tempo?In questo tempo di pandemia ci sono stati senz’altro tantissimi elementi negativi ma credo si possa cogliere anche molto di positivo.Abbiamo visto – ma è solo un esempio! – come si sono trasformati l’ambiente e la natura: siamo tornati a respirare!Chiaramente non possiamo pensare – quando l’emergenza sarà passata – di tornare a fare le stesse cose di prima: in caso contrario la natura – che è molto più intelligente di noi! – saprà darci senz’altro qualche altra lezione.Tutto questo significa, però, che anche lo schema occupazionale futuro non potrà essere costituito dallo stesso modello precedente con la sola aggiunta della tecnologia: ad essere rivoluzionato deve essere il modo stesso di lavorare. Se cambiamo i paradigmi su cui oggi basiamo il nostro lavoro, allora vorrà dire che abbiamo imparato la lezione di questa pandemia: se invece ci limitiamo a modificare solo qualche strumento sarà la dimostrazione non solo che la lezione non l’abbiamo capita ma che qualcun’altra ci verrà data in futuro.

Quando parliamo di “porto” noi profani siamo abituati ad immaginare che si tratti di un’entità “limitata” ad un’area ben precisa. Eppure mi pare di cogliere,che sempre più la competitività dei porti si giochi non solo sulle banchine ma anche nell’entroterra. In tal senso quale supporto sta dando in termini di infrastrutture il territorio del Friuli Venezia Giulia ad un sistema integrato che ha il suo vertice nel Porto di Trieste? Quali sono i punti di forza e quali ancora le carenze?La cosa più banale di cui un porto ha bisogno, per continuare a crescere, è lo spazio. Solitamente i porti cercano al proprio interno gli spazi mancanti: dovremo invece ricorrere sempre più a quelli già presenti “all’esterno” e per giungere a tale obiettivo, come Porto di Trieste, abbiamo messo in pratica un discorso di integrazione con quanto esistente nel territorio del Friuli Venezia Giulia (interporti, zone industriali…).Se poi alziamo il livello dell’azione, abbiamo necessità di aree logistiche e quindi di depositi: fra l’altro, qui, entra in gioco l’attenzione che rivolgiamo al magazzino a temperatura controllata di cui anche ad esempio la Sdag di Gorizia è dotata. Esiste tutta una serie di infrastrutture logistiche dove si svolge un’attività a valore aggiunto più alta rispetto quella cui siamo abituati in porto: queste aumentano la qualità dell’offerta che il sistema complessivamente è in grado di proporre permettendo di mettere a frutto anche aree geograficamente distanti dal porto.Nel territorio della regione abbiamo in attività quattro interporti dove è già presente buona parte di quello che ci serve: è proprio qui sta la grande capacità di sinergia che si può attivare fra l’interporto di Trieste ed il resto del Friuli Venezia Giulia.

Quale apporto può dare la cultura (penso alla ricchezza storica ed artistica del Friuli Venezia Giulia) o il turismo a questo sistema integrato? È un elemento estraneo o può esserne parte fondamentale? Se vogliamo “uscire” dal paradigma tradizionale di porto, è necessario in primo luogo un apporto mentale diverso e, quindi, quelle “menti aperte” che non trovo solo in chi studia la logistica! Il cambiamento di rotta non lo posso chiedere a chi si è ormai sedimentato su ragionamenti legati al passato: la cultura rende le menti più aperte e ci permette di prendere in considerazione un paradigma portuale diverso da quello tradizionale.Ci sono, poi, temi che nulla hanno a che vedere con la logistica e con i porti ma da cui non possiamo prescindere: penso alle tematiche legate all’energia, alla tecnologia… Come dicevo prima, abbiamo bisogno di quelle menti aperte che solo un territorio con una forte connotazione culturale può offrire. Altrimenti saremo magari bravissimi a gestire i porti ma quando ci accorgeremo di avere imboccato una strada sbagliata non sapremo dove andare perché l’unica direzione conosciuta è quella che ci è stata data da una visione tradizionale. Mentre noi vogliamo essere un po’ diversi.

Veniamo al territorio della nostra arcidiocesi in cui si trovano gli interporti di Cervignano e di Gorizia ed il porto di Monfalcone. Come si inseriscono attualmente nel sistema logistico integrato dell’interporto di Trieste e quali prospettive ci sono?La vera potenzialità di queste strutture sta nel farle lavorare insieme e il tema fondamentale è come attuare il governo di questo sistema.Il punto di partenza è Trieste perché c’è una specie di posizione leader da parte di chi è posizionato su quel mare da cui oggi arrivano le opportunità maggiori e dove è possibile incrociare quei soggetti imprenditoriali che portano con sé grandi investimenti.Se anche però Trieste diviene la testa di ponte, non è facile sviluppare il porto prescindendo da tutto ciò che gli sta “alle spalle”. Arriviamo quindi al quasi paradosso che sono proprio i territori “oltre” il porto ad avere le attività a maggiore valore aggiunto: nel porto troviamo forse alla fine attività a basso valore o addirittura a rischio automazione, con poche possibilità occupazionali. Chi, invece, sta “dietro” al porto, può portare a casa attività logistiche, industriali…: Tutti “servono” al sistema: l’unica differenza discende dal dato oggettivo che dal mare – come sottolineavo in precedenza – arrivano le grandi opportunità e quindi chi sta su di esso riesce a distribuirle a tutti.

Un’ultima domanda. Scorrendo il suo curriculum ho notato delle esperienze come docente universitario a Padova e Napoli. Immagino che nella sua squadra in attività nell’interporto di Trieste ci siano anche tanti giovani offrendole la possibilità di confrontarsi quotidianamente con il mondo giovanile. Come fare dei giovani d’oggi dei visionari coi piedi per terra? Che futuro si immagina per i suoi figli?È importante che ognuno faccia quello che si sente di fare. Il vero tema – l’ho accennavo prima – è l’avere menti libere ed aperte.Spero che i miei figli abbiano tutta una serie di opportunità offerte loro prima di tutto da quello che avranno in testa.È importante che le persone siano convinte che quello che stanno pensando, programmando, pianificando non sia sbagliato “in partenza”: uno dei problemi della nostra società è proprio il fatto che tanti hanno buone idee che però gli altri bloccano sul nascere.Vedo tanti giovani che prendono come norma e regola qualsiasi cosa venga loro detta: dovrebbero, invece, riuscire a capire che quanto li viene detto è senz’altro utile ma poi devono ragionarsi sopra con la propria testa, combattendo per le proprie idee anche quando tutti le considerano sbagliate.Sentirsi dire che le cose che pensiamo non sono giuste deve diventare uno sprone per approfondire l’argomento e vedere se è veramente così!Quindi, per rispondere alla sua domanda, è la libertà della mente la cosa più importante che un giovane oggi dovrebbe avere.