Osservatorio Caritas: occhi puntati sui giovani

La pandemia ha portato alla luce situazioni di difficoltà “nuove”, ossia che non avevano mai avuto bisogno di cercare un sostegno sociale ed economico come quello offerto per esempio dalla rete Caritas diffusa su tutto il territorio nazionale.Tra le nuove situazioni di necessità – presentate anche nel corso del recente Convegno regionale delle Caritas diocesane ospitato a Gorizia – è emersa in forte crescita la fascia giovanile, sempre più drammaticamente coinvolta nella mancanza di reddito o nella decurtazione degli stipendi.Abbiamo parlato di quest’importante emergenza con Vera Pellegrino dell’Osservatorio delle Povertà e Risorse delle Caritas del Friuli Venezia Giulia.

Nel recente Convegno regionale è stata rivolta particolare attenzione alla povertà giovanile. Facciamo il punto della situazione, per comprendere meglio la problematica: quali dati nel nostro Paese?Come Osservatorio Caritas già da qualche anno volgiamo uno sguardo particolare ai giovani, dal momento che, già prima della pandemia, il tema cominciava a presentarsi importante, soprattutto nei confronti della povertà educativa. Ora, in questo tempo caratterizzato dalla pandemia, a maggior ragione diventa essenziale parlarne.Ci troviamo di fronte ad un incremento della povertà giovanile molto forte. Un esempio: dagli ultimi dati pubblicati ad ottobre da Caritas Italiana nel Report sulle povertà si legge come tra i “nuovi poveri” il 57,7% sia composto da giovani; un elemento che davvero non può non essere considerato. Anche gli ultimi dati Istat affermano che i giovani in povertà assoluta sono il 10,3%, altro dato rilevante. Di conseguenza aumentano, soprattutto nell’ultimo anno, i Neet, ragazzi che non lavorano e non studiano. L’Italia purtroppo detiene numeri record rispetto a questa categoria e la pandemia ha fatto peggiorare la situazione. Oltre al problema lavorativo sono poi aumentati anche i casi di disagio psicologico, depressione…È interessante quello che dice l’OCSE quando, in uno studio effettuato su 48 Paesi, parla di un’asimmetria generazionale rispetto all’impatto della pandemia, nel senso che questa non colpisce nello stesso modo tutti ma alcune categorie ne risentono di più; certamente i giovani sono quelli che subiranno, anche nel prossimo futuro, maggiormente la crisi che in questo momento stiamo vivendo, sia in termini economici ma anche soprattutto in termini sociali. L’effetto più immediato e preoccupante è che continua ad ampliarsi la forbice sociale, la disuguaglianza sociale, che era già molto forte prima della pandemia ma che con questa diventa ancora più complessa da affrontare.Un altro rapporto, pubblicato da Bankitalia, afferma come già prima della pandemia nel percorso individuale delle persone (e per i giovani in particolare) non incidessero soltanto le competenze e la formazione avuta, ma anche dati come il quartiere di provenienza, le scuole frequentate, la famiglia di origine, la rete amicale… Tutto questo fa leggere un forte rallentamento di quella che è chiamata la “mobilità sociale”. Oggi quindi è molto più difficile cambiare il proprio status sociale rispetto anche solo a qualche decennio fa.

Com’è la situazione a livello regionale?Nel Friuli Venezia Giulia abbiamo una situazione tutto sommato abbastanza buona, sebbene ci siano vari elementi che ci fanno capire che stiamo purtroppo andando verso quella direzione.La nostra è una terra che offre tante opportunità rispetto ad altre, sia dal punto di vista formativo che dal punto di vista lavorativo, opportunità di alta qualità, attrae giovani anche da altre regioni… eppure anche qui, su tutto il territorio, ci sono delle piccole sacche di “indicibili”: persone, ragazzi, che vivono queste situazioni di povertà sostanzialmente assoluta.Abbiamo fatto un’analisi qualitativa che ha coinvolto 18 giovani – dai 18 ai 34 anni da tutto il territorio regionale – e abbiamo sentito gli operatori del settore (assistenti sociali, psicologi, operatori… tutti coloro che hanno per lavoro sono a contatto con i giovani e queste situazioni). Abbiamo voluto cercare di indagare e comprendere gli elementi che a volte un po’ sfuggono al ricercatore, tentando di comprendere il punto di vista proprio di chi si trova all’interno di queste situazioni.Caritas – che non è un istituto di ricerca – ha tra gli obiettivi quello di dare voce a chi non ha voce. Lo scopo è quindi provare a intercettare quell’elemento “diverso”, che non è ancora stato studiato o preso in considerazione.

Cos’è emerso dalla vostra indagine? Quali sono gli aspetti più particolari venuti alla luce ascoltando questi ragazzi e, soprattutto, dove richiedono maggiore aiuto?Certamente i ragazzi chiedono una guida per orientarsi nella complessità del mondo contemporaneo, che può significare banalmente orientarsi nella burocrazia, nella comprensione delle normative… Questo è fondamentale perché spesso non riescono nemmeno ad esercitare i loro diritti, poiché non ne sono spesso a conoscenza, per esempio.Ciò si lega al fatto che, frequentemente, si tratta di persone che hanno titoli di studio molto bassi – i 2/3 di coloro che abbiamo sentito ha solo un diploma di III^ media – e hanno in generale delle competenze fragili, pertanto rappresentano le “radici” di quello che solitamente viene chiamato “analfabetismo funzionale” – la difficoltà nella lettura e comprensione anche di un semplice testo -. Suggeriamo quindi di lavorare su queste competenze che non hanno, magari creando dei gruppi, aiutandoli nello sviluppare scelte critiche e alla comprensione delle cose che hanno attorno.Un altro elemento che ci chiedono è il sostegno nella ricerca del lavoro. Questo è interessante perché in realtà nella nostra regione ci sono vari progetti e modalità di sostegno ai giovani e nella ricerca di lavoro più in generale, eppure loro sentono questo bisogno. Sentono la necessità di capire come poter valorizzare le proprie competenze, i desideri, mettere anche in gioco la creatività.Questi ragazzi spesso non hanno strumenti e non riescono nemmeno ad elaborare un progetto – tema secondo me molto grave -; non hanno una progettualità perché non riescono a vedere bene il loro futuro.Chiedono poi un rapporto con gli assistenti sociali, che nella loro vita hanno un ruolo molto importante e vengono considerati proprio come dei riferimenti, spesso davvero fondamentali. Chiedono che ci sia un rapporto più personalizzato. Questa richiesta certamente è legata ad una visione che loro hanno di riferimenti che vanno al di là di un percorso strettamente sociale, cercano un punto di riferimento anche emozionale e affettivo.Descrivendo gli assistenti sociali e operatori della Caritas, loro dicono che si sentono “visti”: sanno che c’è qualcuno che si preoccupa per loro, che chiede loro come stanno; questo è interessante perché rivela spesso delle problematicità legate anche a famiglie che talvolta non hanno sufficienti “competenze emotive”.

Sono forse emerse anche esigenze “nuove”, ossia totalmente legate ad un aspetto generazionale?Direi di sì: una richiesta che non è stata propriamente diretta da parte dei giovani ma è emersa proprio parlando con loro, è la necessità di adottare nuovi linguaggi comunicativi, più smart, più adatti appunto alle nuove generazioni, che utilizzino di più i mezzi e gli strumenti digitali.Faccio un esempio: un ragazzo ha proposto la realizzazione di una piattaforma per la ricerca del lavoro, ma strutturata più come un “social”, dove poter interagire tra persone che lavorano, tra ragazzi in cerca di lavoro, anche per valutare e informarsi su un certo posto di lavoro, sulla modalità lavorativa… Creare insomma una sorta di community più ampia rispetto a quella dei soli servizi che offrono opportunità lavorative.È bello che abbiano avanzato anche loro delle proposte perché, come accennavo, una delle missioni di Caritas è appunto dare voce a chi non ha voce. Ascoltando, parlando, sollecitando, emergono spesso suggerimenti alla fine molto concreti.Dal punto di vista strettamente legato alla ricerca effettuata – tra l’altro svolta in piena pandemia – abbiamo intervistato i ragazzi al telefono e spesso con videochiamate. A loro volta tra gli intervistatori c’erano dei giovani e questo secondo me ha fatto la differenza: questi strumenti a volte creano delledifficoltà con altri target, mentre con loro hanno funzionato e forse hanno agevolato per certi versi la possibilità colloquio e dialogo.

Nel corso del Convegno regionale lei ad un certo punto ha fatto riferimento alla difficoltà, anche per le giovani donne, di conciliare i temi della famiglia con quelli del lavoro, tematica molto attuale…È senza dubbio una tematica importante, non a caso i target di povertà più forti rispetto quanto accaduto durante la pandemia sono proprio le donne e i giovani; quindi la donna giovane è ancor più coinvolta.Uno dei problemi presentati è proprio quello della conciliazione famiglia – lavoro. Tante donne non riescono a iniziare un loro percorso o lo devono interrompere perché faticano a conciliare le due sfere.Questo va a incidere non solo sulla povertà economica della famiglia, quindi di conseguenza sulla povertà minorile dei figli, ma anche rispetto alla realizzazione della persona, che a mio avviso non è cosa di poco conto. Forse quindi vale la pena di prestare un’attenzione maggiore in termini di aiuti non solo per esempio rispetto agli asili nido, ma anche forse rispetto al babysitteraggio. Spesso infatti le donne che trovano lavoro o hanno modo di rientrare nel mondo del lavoro, hanno occupazioni a turni, per esempio nel mondo della ristorazione che ha orari (serali, nel fine settimana) ben diversi da quelli offerti dagli asili nido; sarebbe quindi il caso di aiutare anche le donne e le ragazze in queste particolari contingenze.

Nel report stilato da Caritas si parla anche di “ereditarietà della povertà”. È un aspetto interessante… Cosa si intende nello specifico con questo particolare elemento?In primis fa pensare all’idea di futuro che possono avere questi ragazzi, che si sentono legati, imbrigliati, come se avessero una sorta di consapevolezza di non poter uscire dalla loro situazione.Non riescono ad immaginare loro stessi un futuro, non sono particolarmente ambiziosi – nel senso sano del termine -, non pensano di poter cambiare la loro situazione veramente e profondamente, migliorandola.Nel racconto delle povertà di questi ragazzi si osserva come spesso le radici della loro situazione affondino nelle storie famigliari, che spessissimo sono storie di difficoltà economiche mai superate e che hanno necessariamente segnato l’esistenza dei giovani incontrati.Quello che va tenuto presente è che non si tratta soltanto di una questione di difficoltà economica ma tutte le famiglie di origine sono famiglie “multiproblematiche”, ossia presentano povertà multidimensionali (abbiamo incontrato difficoltà diverse come famiglie permeabili, separazioni difficili, abbandoni genitoriali ma anche dipendenze, malattie, mancanza di reti relazionali di supporto, famiglie eccessivamente tutelanti e a volte la mancanza di competenze emotive).Quando si parla di ereditarietà della povertà si intende quindi la situazione della famiglia che si ripercuote nella storia dei giovani.Sono pochi quelli che riescono a riscattarsi da queste situazioni, che non sono un fenomeno così estremamente diffuso ma c’è, è presente, e sembra stia aumentando.