Necessità di investire in politiche per la famiglia

Dall’11 al 13 maggio scorso si è svolta la terza edizione degli Stati generali della natalità presso l’Auditorium della Conciliazione di Roma con la presenza, fra gli altri, del Santo Padre, del Premier Giorgia Meloni e del Ministro per la famiglia e la natalità Eugenia Roccella.I numeri presentati sul trend delle nascite lasciano sgomenti: nel 2022 vi è stato un record negativo di nuovi nati (sotto i 400 mila) e, di contro, un elevato numero di decessi (più di 700 mila), dati che riportano l’Italia a quanto ha già vissuto nel dopo guerra.Altroché “inverno demografico”: di questo passo, l’impatto sociale ed economico si spiegherà irreversibilmente e molto prima rispetto alla deadline del 2050 (anno di riferimento statistico di lungo periodo) lasciando presto le casse previdenziali vuote, l’assistenza sanitaria allo stremo e i bambini (pochi) in una società a prevalenza invecchiata e che, in quanto tale, si vedrà costretta ad investire prioritariamente sull’assistenza degli anziani piuttosto che sul futuro dei giovani. Per la prima volta i numeri indicano con chiarezza una presa di consapevolezza fin’ora mai pronunciata (probabilmente per pudore istituzionale): i figli non sono solo un affare individuale ma anche collettivo con impatto sugli equilibri dell’intera comunità e quindi, in quanto tale, va trattato.Bene dunque la libera autodeterminazione di ogni individuo ma mai più resistenza a nascondere la prevalenza dell’importanza delle famiglie: una rotta in totale opposizione, tra l’altro, con una generalista narrazione giornalistica contemporanea che invece fomenta e incoraggia l’individualismo.Se le ragioni di questo crollo demografico paiono essere sostanzialmente tre: il costo della vita, l’età crescente dei genitori, il graduale allontanamento dei giovani da una vocazione familiare (oltre ad altri fattori che ivi si intrecciano come la questione del lavoro femminile, la precarietà dei rapporti, la paura del futuro), la ricetta, almeno per chi si è imposto di invertire la tendenza, pare essere una sola: investire in politiche per la famiglia (con aiuti strutturati e non occasionali).Non e’ facile sbrogliare questa matassa fatta di ragioni consolidatesi negli ultimi decenni ove la noncuranza generale ha rinviato il problema a “quelli che sarebbero venuti dopo” ove ora, quelli del “dopo”, siamo noi che già paghiamo uno scotto caro con numeri già sempre più risibili sia di giovani lavoratori che si affacciano al mondo del lavoro che di studenti nelle scuole (ogni anno, ad esempio, in Friuli Venezia Giulia, mancano “all’appello” 1500 bambini con conseguente graduale collasso delle classi).In zona Cesarini si parla di defiscalizzazione, di certificati per i Comuni virtuosi, bonus, ma anche di una nuova primavera delle politiche per la parita’ di genere che dopo la centralità dei movimenti femministi degli anni ’70, oggi tornano centrali per promuovere lavoro e maternità (e non lavoro o maternità).C’è bisogno di bambini e di una nuova visone della vita.Ma c’è bisogno soprattutto di fiducia nel futuro (di quella che arriva proprio dal riscatto dai periodi più bui della storia come le rinascite del dopoguerra italiano e dai periodi di crisi). Insieme si può.