Necessaria una verifica approfondita e veritieria

La ripresa dell’industria, che non possiamo certamente definire solo post feriale ma anche, e soprattutto, post fase acuta della pandemia che ha caratterizzato il periodo che va dalla primavera 2020 a quella 2021, sta registrando una positiva ricaduta sul PIL nazionale. L’effetto positivo è però funestato da molteplici, quotidiani infortuni mortali che interessano tutti i settori da quello industriale a quello edile a quello agricolo. Difficile fare un’esatta valutazione su quale sia la causa che li genera, ciò che va evidenziato è però il fatto che per evitare il ripetersi di simili tragedie non è sicuramente determinante mettere all’ordine del giorno dei lavori parlamentari nuove leggi sulla sicurezza. È indispensabile invece, a tal fine, l’effettuazione di un’analisi approfondita e veritiera su cosa significa oggi il lavoro ed essere lavoratori, verifica che purtroppo viene messa in secondo piano rispetto alla finanza e alla speculazione.Chi lavora nelle fabbriche, nei campi (attività manuale e, spesso, di fatica) ha un ruolo fondamentale nella nostra società consumistica che, senza coloro che producono i prodotti primari non potrebbe esistere. Si ricominci, quindi, a dare il giusto valore al lavoro e all’operaio mettendoli al centro dell’interesse dell’imprenditore e   ponendo in essere una formazione continua che interessi tutte le maestranze.Ma il quadro attuale nei luoghi di lavoro è tutt’ora condizionato fortemente dal persistere del covid 19, unico argomento che i mass media trattano a tale proposito: vaccino sì, vaccino no, tamponi, green pass, tirannia sanitaria. Non può certamente rendere tranquillo lo svolgimento dell’attività il fatto che la guerra continui senza peraltro specificare contro chi sia rivolta (un po’ come avvenne, per chi ha memoria storica, l’8 settembre 1943 dopo la firma dell’armistizio con la dichiarazione “La guerra continua” senza dire contro chi).L’economia e il grosso dell’occupazione isontina, come peraltro da sempre, si basano sulla cantieristica, sul colosso Fincantieri.Non sono infatti stati creati nel tempo insediamenti industriali, non dico in grado di soppiantare tale settore ma neppure in grado di assicurare vere e proprie opportunità occupazionali alternative.In Fincantieri, accanto ai 1200 dipendenti (tra operai e impiegati) diretti, se ne contano altri 5000 distribuiti tra le ditte di appalto e subappalto.La tanto sbandierata trasparenza e legalità è ben lungi dall’essere rispettata con tutto ciò che ne consegue sia all’nterno del sito produttivo che sul tessuto cittadino.Monfalcone, sede del complesso che da solo fa il PIL regionale, diversamente dall’averne tratto vantaggi, è ormai un ricordo della cittadina prospera che era un tempo.Su altre realtà industriali del monfalconese, Nidec (ex Ansaldo) e Mangiarotti, emergono purtroppo nuove nubi; entrambe stanno infatti registrando difficoltà nell’acquisire commesse, sia a livello nazionale che estero, vi è la richiesta di prosieguo della C.I.G. per tutte e due le realtà.Ricordiamo che alla Nidec, con capitale giapponese e gruppo dirigente francese, con siti industriali sia in Francia che in Italia, attualmente beneficia della C.I.G. oltre al personale operativo anche quello del settore commerciale, il che è indice di grossa preoccupazione.La Mangiarotti, che opera nel settore del nucleare e del gas, per quest’ultimo è completamente priva di ordini.Ultimo, non certamente per importanza, è il porto di Monfalcone sempre in attesa di escavi.Attualmente il sito è interessato dal dibattito inerente la riconversione dal carbone al metano della centrale elettrica A2A. A tale proposito vi sono notevoli divergenze, c’è chi è favorevole in quanto passaggio propedeutico all’idrogeno (che sembra alimenterà le navi nel prossimo futuro), chi ne vuole la completa dismissione senza porsi il problema dell’utilizzo futuro dell’area e della bonifica della stessa (in termini di costo), chi vorrebbe fare dell’area un utilizzo commerciale.Si prospetta, per la città, il terzo referendum sulla tematica della centrale elettrica (il primo era stato per il raddoppio della stessa, il secondo per decidere sulla proposta Snam).Nel frattempo, come deciso dal referendum di vent’anni fa, in cui fu detto di no al metano, i cittadini di Monfalcone continuano a respirare carbone.