“Mettere la nostra umanità nel nostro lavoro”

È un periodo certamente di grande evoluzione per il mondo della Comunicazione: ci troviamo non solo di fronte ad una crescita esponenziale della presenza dei Social Media, che ci chiedono sempre più spesso di essere presenti su più “piattaforme” e di farlo con metodi comunicativi anche molto diversi tra loro, ma recentemente ci si è iniziati anche ad interrogare sul futuro della professione giornalistica, con la nascita di sistemi di scrittura automatica sempre più veloci e precisi.In occasione della prosssima Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali, in programma questa domenica 21 maggio, abbiamo discusso di tutto questo con Daniela Verlicchi, direttrice del settimanale “Risveglio Duemila” della diocesi di Ravenna (che da qualche tempo esce in versione unica, con tre edizioni, assieme ai settimanali di Faenza – Modigliana e Cesena – Sarsina).Daniela, questa domenica celebreremo la Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali, momento in cui anche noi giornalisti e comunicatori siamo chiamati a “tirare le somme” sul nostro ruolo. Ecco quindi, dal tuo punto di vista, dal tuo “osservatorio”, dove ci troviamo?C’è un’evoluzione o un’involuzione della Comunicazione? E come comunicatori quali passi ma anche quali sfide siamo chiamati ad affrontare?È un tempo di sfide per la comunicazione quello di oggi. Sono tanti i fronti sui quali siamo chiamati a spenderci.Anzitutto quello dell’evoluzione della tecnologia e dei linguaggi per arrivare al “cuore” degli uomini e delle donne di oggi, tanto per stare al tema della Giornata mondiale.Occorre stare nelle piazze di oggi e per farlo servono competenze e sensibilità nuove.C’è poi la sfida di un ambiente mediale che sta evolvendo velocemente e che rende le strutture economiche che hanno retto il nostro sistema informativo piuttosto fragili. Occorre trovare nuovi modelli di sostenibilità per le nostre imprese.Ancora, c’è il tema della professionalità, strettamente collegato a quello della sostenibilità economica e della formazione, che secondo me è il vero nodo sul quale non è possibile indietreggiare.Occorre cambiare forme, modi, strumenti, media, ma quello invece che deve rimanere è l’etica di una professione che cerca la verità a vantaggio del bene comune e fa informazione di qualità. Infine, c’è anche una sfida da raccogliere sul versante dei lettori: spiegare cosa è un’informazione di qualità e farne capire il valore.Perché, ed è forse uno degli elementi che più mi fa paura nel futuro dell’informazione, se nessuno sarà più disposto a investire sulla comunicazione di qualità, credo che la nostra società e la nostra democrazia correranno seri rischi.Detto questo, credo comunque si tratti di un’evoluzione e non di un’involuzione.Perché questo da sempre è il compito della comunicazione (specialmente quella ecclesiale): stare accanto alle persone e dare chiavi di lettura della realtà, essere una compagnia e “un luogo”, una comunità.Come affrontarle? Certamente con la formazione, è essenziale. Ma l’esperienza degli ultimi anni, con il progetto avviato tre anni fa con le diocesi di Faenza-Modigliana e Cesena-Sarsina (la nascita di un settimanale unico in tre edizioni), per me parla di futuro.Credo che mettere insieme le forze, non guardare solo al proprio territorio (anche se occorre sempre partire anzitutto da lì), fare rete e anche “casa” con le realtà che ci sono affini, sia un modo per affrontare molte delle sfide dei prossimi anni.Forse l’unico.

Tema scelto da papa Francesco per quest’anno è “Parlare col cuore. “Secondo verità nella carità””.Per noi comunicatori diocesani, com’è possibile “sposare” la verità – che può essere alle volte anche molto cruda, dura – con quel cuore che il Santo Padre ci chiama ad usare?Come ha spiegato monsignor Castellucci in un recente incontro su questo tema, è proprio con il cuore che si arriva alla verità dell’uomo e della donna che intervistiamo, ma anche di quelli che ci leggono. È questo il dialogo che credo il Papa ci chiede di tenere aperto.Significa leggere la realtà con occhi che vanno oltre l’indifferenza e gli stereotipi per arrivare appunto al cuore delle persone che raccontiamo. Ma significa anche non fermarci al lettore-consumatore e puntare alla comunità.Non siamo e non possiamo essere “erogatori” di verità ma cercatori di verità.Questo significa mettersi costantemente in discussione di fronte al mistero che c’è in ogni persona che incontriamo, anche chi sta sul banco degli imputati di un delitto atroce al centro delle cronache di tutti i nostri media.Oltre i pregiudizi e la brutta abitudine di categorizzare le persone.È un esercizio faticoso, ma che genera stupore

Come giornalisti e comunicatori siamo oggi chiamati ad essere presenti su più piattaforme: cartaceo, digitale, “on air” ma anche “on line”, i social… Come affrontare queste nuove richieste e necessità? Tu personalmente, come hai accolto questi nuovi “compiti”?Io, personalmente, faccio tutto (e male, com’è nel mio stile!) (ride, n.d.r).La sfida della crossmedialità, cioè del trasmettere il messaggio in modi e con strumenti diversi, mi affascina da quando la studiavo alla scuola di giornalismo, molti anni fa. Ed era solo teoria. Ora è pratica.Quindi le nuove forme di giornalismo (social, web, podcast, video) mi incuriosiscono e cerco di capire come funzionano e che ulteriori canali possono darmi per comunicare con le persone che voglio raggiungere.Poi, però, trovo difficile tenerle in piedi tutte e avere una “strategia mediale” razionale per raggiungere tutti in modo efficace.Credo che la strada sia ancora lunga.

Guardando proprio al futuro della Comunicazione, recentemente si è iniziato a parlare di programmi che generano automaticamente contenuti, non solo video ma anche testuali e che risultano complessivamente molto buoni.È certamente una novità sensazionale ma che forse spaventa un po’ noi giornalisti e chi lavora nel settore della comunicazione, mettendo in discussione il nostro ruolo.Come pensi che dovremo affrontare ed approcciarci a questa novità? Come “tracciare un confine” tra virtuale e reale in questo caso?Credo appunto che l’essenziale per noi giornalisti sia continuare a usare il “cuore”, come dice papa Francesco. È l’unica cosa che un sistema di intelligenza artificiale non sarà mai in grado di riprodurre o imitare.Sta proprio lì, forse, la sfida delle sfide: mettere noi stessi, la nostra umanità, in quel che facciamo e nel nostro lavoro.Se racconteremo da uomini e donne, storie di altri uomini e donne, nessun programma potrà mai “sostituirci”.Se invece ci limitiamo ad essere efficienti o solamente razionali, bè, forse una macchina potrà esserlo più di noi. Ma poi anche la comunicazione, e quindi la società, correranno il rischio di essere meno “umane”.