Messico: in bilico tra povertà e pandemia

La pandemia ha messo e sta mettendo a dura prova il nostro sistema economico, e così anche nel resto d’Europa e del mondo. Se già la situazione nei Paesi “sviluppati” è realmente problematica, i Paesi in via di sviluppo e sottosviluppati sono davvero in ginocchio, piegati dalla mancanza di lavoro che ha portato con sé il dramma della povertà, in particolar modo alimentare. IlCentro missionario diocesano, grazie al sostegno ricevuto attraverso le offerte di tante persone ed il contributo dell’8 per mille della CEI destinato alla nostra diocesi, sta cercando di non fare mancare una vicinanza concreta a queste realtà in difficoltà.Tra queste situazioni di emergenza vi è il Messico, di cui si sente parlare pochissimo ma è tra i primi 10 al mondo per incidenza della pandemia con più di 66.000 morti e attualmente circa 630.000 contagiati.In questi giorni è presente in diocesi il monfalconese don Aldo Vittor, missionario con la comunità di Villaregia alla parrocchia di Cristo Rey di Texcoco, nella periferia di Città del Messico. Lo abbiamo incontrato e ci ha riportato la drammatica situazione in cui versa il Paese e delle misure straordinarie messe in campo dalla sua parrocchia per sostenere le tante famiglie che, dall’oggi al domani, si sono trovate improvvisamente senza nulla da mangiare. La sua storia entra a pieno titolo nella narrazione sulla Memoria della nostra Chiesa diocesana nel tempo del Covid-19.

Don Aldo, per comprendere la situazione attuale credo sia necessario capire quale fosse la situazione del Paese prima della pandemia…Innanzitutto bisogna fare un distinguo: ci sono le zone economicamente più avanzate e le zone più rurali, come quelle dove noi operiamo. Dati ONU parlano di 24 milioni di abitanti stimati tra la Città e la Valle del Messico. Il Messico conta invece circa 120 milioni di abitanti.Economicamente c’è stata una virata decisiva dopo le elezioni presidenziali di due anni fa, che hanno portato alla vittoria di un partito nuovo guidato da Manuel Lopez Obrador, eletto con una maggioranza schiacciante. È un presidente che ha fatto una vera lotta contro la corruzione, una delle piaghe più grandi del Paese, e nelle sue intenzioni senz’ombra di dubbio c’è quella di aiutare i più poveri e bisognosi. Ha sospeso tutte le opere maggiori che erano in corso e ha cambiato i vertici praticamente in ogni campo. Un esempio: ha lottato contro la corruzione in una delle maggiori aziende petrolifere; ciò ha fatto emergere come in Messico almeno il 50% della benzina fosse rubata dai cartelli, con una corruzione che partiva all’interno delle aziende.Questa lotta ha creato però, di contrappeso, un taglio drastico dei posti di lavoro, perché molti cantieri sono stati chiusi – come quello dell’aeroporto internazionale che coinvolgeva la nostra zona, che è stato bloccato, annullato il progetto, spostato da un’altra parte e affidato all’esercito e non più a privati, perché era legato a forti casi di corruzione -.Per quanto riguarda l’economia del Paese, non si può dire che con questo presidente abbia avuto un innalzamento drastico: stagnante era, stagnante è rimasta. Abbiamo notato che una buona parte della classe media, che lavorava in uffici governativi, a causa di un azzeramento totale delle cariche, per vari mesi è rimasta senza lavoro prima di essere ricollocata. La classe povera infine, è rimasta la stessa.

È arrivata poi l’ondata del Coronavirus. Come ha reagito il Paese? Che tipo di misure preventive sono state messe in campo dal Governo?Quello di cui bisogna dar merito al Messico, nonostante la gravosa situazione, è di aver introdotto molto presto quella che è stata chiamata la “Giornata della Sana Distanza”, ripetuta poi nei mesi, per promuovere dei blocchi alla produttività attutati in maniera preventiva. Ciò ha permesso che il Paese non conoscesse, all’inizio, una curva epidemica accelerata ma dilatata nel tempo, pertanto quando si è arrivati ai picchi giornalieri di contagio, gli ospedali non erano alla saturazione, come avvenuto in Europa. Di contro l’epidemia ha causato un altro problema: l’economia di fatto non ha mai avuto un blocco totale, eccezion fatta per la “Giornata della Sana Distanza”, pertanto quando la curva dei contagi si è stabilizzata ad un livello alto, si è passati ad un altro sistema, definito semaforico, che prevede blocchi per singoli Stati (ricordiamo che il Messico è composto da Stati) che passano dal rosso – blocco totale, aperte solo le attività essenziali -, arancione, giallo e verde. Attualmente il Paese ha stati al blocco arancio, altri come Città del Messico al giallo. Questo significa che sta operando solamente circa il 30% delle attività.In questo una cosa importante, a mio avviso, è stata il blocco delle attività produttrici di alcoolici: il Messico è uno dei principali produttori di birra al mondo e c’è anche molto consumo e abuso. Trovo sia stata una mossa sociale: sapevano che il blocco avrebbe portato molti problemi all’interno delle famiglie. Limitare quindi l’uso e abuso di alcool ha in qualche modo limitato anche le violenze familiari e di genere, che già di per sé nel Paese hanno tassi molto alti.

Al momento della tua partenza, che situazione hai lasciato?Purtroppo la curva epidemica in Messico sta scendendo in maniera davvero molto lenta; questo perché in Europa è stato possibile bloccare realmente tutto, in Messico una soluzione di questo tipo non era proprio attuabile perché, dati alla mano, nel Paese almeno il 60% della popolazione vive di lavoro informale, sopravvivendo con quello che guadagna dalla giornata e non ha una forma di risparmio.Inoltre in Messico molte persone vivono grazie alla vendita sulla strada di cibi pronti (la gente esce per lavoro la mattina prestissimo e rientra spesso tardi, pertanto è abitudine consumare qualcosa per strada, molti addirittura non hanno nemmeno la cucina a casa!); con il Covid 19 una delle prime cose ad essere state bloccate è stata proprio questa, insieme ai mercati, cosa che ha causato una grande povertà, poiché numerosissime persone e famiglie si sono trovate senza la principale fonte di reddito.A livello di epidemia, siamo ancora in fase di picco, che continua da circa tre mesi. Inoltre il tasso di esami (sierologici e tamponi) svolti in Messico è bassissimo, poiché sono molto cari, e questo è stato criticato anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.Ultimo ma non ultimo, la qualità ospedaliera non è neanche minimamente paragonabile a quella europea e moltissima gente che si ammala preferisce non andare in ospedale – a meno che non subentri una grave crisi respiratoria -.In Messico, già prima della pandemia, si dice che chi va in ospedale dura tre giorni… e poi muore. Chi critica e si lamenta tanto qui in Italia – avrà anche le sue ragioni, su queste non discuto – però forse non sa cosa accade in altre parti del mondo… La sanità italiana, statisticamente e qualitativamente è una delle migliori al mondo.

Negli scorsi mesi nelle tue lettere ci hai raccontato di come la vostra parrocchia abbia reagito subito per venire incontro alle crescenti difficoltà…La parrocchia, che conta cinque chiese, tramite la nostra Caritas segue “normalmente” alcuni casi più deboli, famiglie con disabili e anziani; li aiutiamo portandogli qualcosa da mangiare, beni di prima necessità, e aiutandoli nell’acquisto di alcuni medicinali. Nella “normalità” seguiamo circa 80/100 famiglie; ai primi di agosto erano già 450, in questi giorni mi hanno confermato che hanno superato le 500.Con la pandemia abbiamo riorganizzato la nostra vita comunitaria e gli orari, rafforzando la promozione sociale e la pastorale digitale, per aiutare la gente ad avere un ritmo pur essendo chiusa in casa. La parte principale della riorganizzazione ha coinvolto l’ambito sociale, anche perché le nostre opere non vogliono essere assistenzialiste ma di promozione umana e su questo abbiamo vari progetti, che portiamo avanti per mezzo di un’associazione civile che abbiamo fondato, “Juntos en fronteras”. Tra i progetti ci sono corsi di formazione lavorativa per donne (una delle fasce più fragili), il centro giovanile, dove svolgiamo principalmente attività estive, attività musicali e sportive, il doposcuola e dove gli scout – gruppo sorto circa un anno fa – svolge le sue attività, consentendo anche di tenere i ragazzi lontano da “brutti giri”. C’è poi un piccolo centro medico, con un importante ambulatorio dentistico (abbiamo dei tirocinanti dalla più accreditata università del Messico), si fanno misurazioni della pressione, iniezioni, c’è un medico di base e svolgiamo delle campagne di prevenzione e sensibilizzazione anche nei vari paesi. Chiaramente tutto questo, con le varie fasi di chiusura, è stato tutto bloccato.

Come siete riusciti a rimanere accanto delle persone, a garantire loro un sostegno nonostante le obbligatorie chiusure?Innanzitutto abbiamo deciso di non licenziare nessuno dei nostri dipendenti, perché per molti era l’unico stipendio della famiglia, ma li abbiamo ricollocati: ci hanno aiutato da un lato al dispensario, dall’altro nella realizzazione delle borse che abbiamo organizzato per le famiglie in difficoltà e quindi nella loro distribuzione. Il problema più grande in pandemia è infatti stato la povertà alimentare ed è lì che si è concentrato il nostro operato: abbiamo svolto una campagna di sensibilizzazione in parrocchia e in Italia e in tanti hanno risposto con fondi e generi di prima necessità, consentendoci di organizzare borse dapprima per 220 famiglie, poi di settimana in settimana cresciute fino ad arrivare appunto alle 500 di oggi. Abbiamo svolto anche, con gli operatori della Pastorale sociale, una specie di “censimento”, per comprendere la situazione di ogni nucleo, anche lavorativa, la composizione – par capire se ci fossero presenti bambini piccoli o persone anziane – e poter così indirizzare nel migliore dei modi il nostro sostegno. Fortunatamente, grazie a Dio e all’aiuto dei tanti che ci hanno sostenuti, siamo riusciti a garantire un aiuto a tutti quanti.Tantissimi sono stati i casi di “nuove” povertà, ossia famiglie che prima del Covid -19 avevano un lavoro e una situazione stabile e che ora invece si sono viste costrette a bussare alla nostra porta perché non avevano di che nutrirsi a causa della perdita dell’occupazione.Un altro aspetto del quale ci siamo occupati, è la distribuzione di medicinali e il reperimento di bombole d’ossigeno per coloro che si trovano in difficoltà respiratoria., perché le persone povere hanno difficile accesso alle medicine quando si ammalano.

Quali sono i vostri timori?In questo momento le cose che ci spaventano sono principalmente la curva epidemiologica che non scende, o scende molto lenta, e parla quindi di una situazione che si prospetta ancora molto lunga. Preoccupa poi, quando ci sarà la possibilità, l’accesso ai vaccini.Preoccupano le conseguenze economiche di tutto questo: se in Europa il calo del PIL causa tanti problemi, in un Paese in via di sviluppo ne causa moltissimi di più; da questo punto di vista il problema è enorme.C’è poi un ulteriore questione: i Paesi del Primo Mondo hanno messo in campo risorse economiche ingenti, portando un cambiamento sproporzionato del cambio – l’Euro è arrivato a picchi mai visti prima, subito dietro a ruota il dollaro -. Conseguenza di ciò è un più difficile accesso per i Paesi meno sviluppati a tutte quelle risorse e tecnologie prodotte in quelle aree; questo va a incidere su tutti gli aspetti economici.C’è poi il problema sociale: il Messico è un Paese di gente che migra, ma è anche transito per le migrazioni, essendo l’ultimo Paese prima degli USA. Se la situazione era già drammatica prima, temo che nei prossimi anni andrà peggiorando, con conseguenze molto gravi per quanto riguarda la tratta delle persone, il narcotraffico, gli abusi e il traffico della prostituzione e degli organi.

Nella tua ultima lettera accennavi ad un nuovo progetto, un tema delicato. Ce lo anticipi?È un progetto che teniamo nel cuore da vario tempo, ossia quello di sviluppare l’accompagnamento psicologico per le vittime di violenza e violenza familiare, con particolare attenzione alle vittime di abuso minorile, purtroppo abbastanza alto in Messico. Si tratterebbe anche di costituire, all’interno della parrocchia, una Commissione di protezione dei minori.Il percorso terapeutico è un cammino da mettere in atto soprattutto perché le persone più povere non hanno la possibilità economica di accedere a cure terapeutiche, molto care nel Paese.Questo progetto nasce da tante esigenze che vediamo e sarà ancora più necessario dopo il Covid perché si amplierà anche a tutte le problematiche causate dalla pandemia, molte delle quali conoscono appunto anche violenze.Di pari passo ci sarà la formazione – già partita prima della pandemia e ora interrotta – sulla protezione dei minori, con i catechisti e i genitori; vorremmo allargarla anche ai bambini stessi, con corsi specializzati. Il progetto complessivo, che vede anche lo sviluppo del Centro giovanile, è sostenuto dall’arcidiocesi di Gorizia, l’abbiamo presentato alla Regione FVG per i piani di Cooperazione internazionale – siamo in attesa di sapere il verdetto – e la nostra speranza è di poterlo avviare con l’inizio del 2021.