Lo Statuto dei lavoratori reggerà al mercato senza regole?

Sono passati 50 anni dalla promulgazione della legge 300/70  meglio conosciuta come Statuto dei Lavoratori.L’anniversario cade in un momento in cui il contesto economico  del nostro Paese, già da molto tempo in difficoltà, si è aggravato con il sopravvenire del corona virus i cui effetti negativi non sono ancora visibili in tutta la loro drammaticità.In questi giorni in cui si celebra la festa della Repubblica è bene ricordare che, nonostante  il primo articolo della Costituzione stabilisca che la nostra nazione è  fondata sul lavoro, ci sono voluti più di vent’anni perché venisse approvata una legge in difesa di coloro che rappresentano il nerbo del Paese.Senza far cenno alle numerose difficoltà incontrate, va dato merito ai dirigenti  sindacali e ai politici avveduti che, anche accantonando  pregiudizi ideologici, si sono spesi per la regolarizzazione della materia in esame  al fine di consentire dignità e sicurezza a chi, con la propria fatica, aveva consentito la rinascita del Paese dopo la guerra.Fra le varie categorie, quella che maggiormente ha contribuito, con le sue lotte, al raggiungimento dell’obiettivo, è stata quella dei metalmeccanici che, con la creazione dell’FLM, aveva allora sancito un’effettiva unità d’azione. E’ bene ricordare, infatti,che ciò che ha consentito la promulgazione della L. 300 è stata proprio  la ritrovata unità del movimento  dei lavoratori dopo la rottura che si era verificata nel 1948.Nel corso  del tempo molti articoli dello statuto sono stati messi in discussione ,altri sono stati addirittura abrogati e i fautori di tali modifiche non sono stati solo gli imprenditori ma anche i  vari governi che si sono succeduti. Ritengo che ciò che sostanzialmente non è stato accettato e continua ad essere motivo di scontro sia rappresentato dalla filosofia che sottende alla legge: regolarizzazione dei diritti e doveri dei lavoratori.Oggi dobbiamo parlare dello statuto soprattutto per difenderlo.Infatti, di fronte al cambiamento del sistema industriale, alle nuove tecnologie,alla crisi economica in atto e all’incapacità di governare il tutto, la riduzione, quando non addirittura la cancellazione, delle garanzie conquistate viene presentata come un intervento urgente e necessario.Mai, infatti, come in questi tempi viene sollevato il  dubbio che la legislazione di sostegno e tutela dei lavoratori contribuisca ad aumentare le difficoltà economiche essendo ritenuta uno dei vincoli più rigidi imposti all’iniziativa imprenditoriale. Fermo restando che ciò non corrisponde alla realtà e che  lo statuto è una conquista che va difesa e tutelata, non si può fare a meno però di rilevare che il mondo di oggi è   profondamente diverso  da quello di cinquant’anni fa.Ci troviamo di fronte  ad una progressiva riduzione della manodopera e ad un aumento  della mobilità in uscita  dovute alle trasformazioni dei cicli produttivi  che comportano  lavoro sommerso non tutelato o sottopagato, alla frantumazione di un  mercato del lavoro senza più regole , alla difficoltà di indirizzare correttamente l’offerta di occupazione mutevole nel tempo.A tutto questo il presunto garantismo dello statuto in realtà  non trova risposte e non pone alcun vincolo.Le organizzazioni sindacali devono perciò attrezzarsi  per affrontare  le nuove sfide che l’economia pone.E come lo statuto, a suo tempo, ha rappresentato la ratifica di nuovi rapporti di forza in cui  il movimento dei lavoratori  è diventato, negli anni, sempre più protagonista, oggi  occorre compiere un analogo percorso partendo necessariamente dalla creazione di quell’unità che purtroppo non c’è più. E, assieme all’unità,  c’ è bisogno  che il sindacato  si  re-immagini  protagonista della scena economica in modo diverso dal presente osando nella ricerca di  nuove esperienze concrete che faccia ridiventare protagonisti i lavoratori.