La guerra ed i social: le nostre responsabilità

Marta Vasyuta ha 20 anni e vive in Ucraina. Una ragazza normale e, come tante le sue coetanee, è iscritta a TikTok, uno dei social più in voga tra i giovanissimi. Qualche centinaio di follower, nulla di che per chi è abituato a navigare tra i social. Qualche condivisione di musica preferita, qualche tramonto o alcune nottate fuori con gli amici. Ma quanto iniziano le operazioni belliche con l’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe russe lei non si trova in patria, bensì nel Regno Unito a trovare alcuni amici che ha conosciuto all’università. Dai social, appunto, viene a sapere di quanto sta accadendo nel proprio Paese, soprattutto le bombe su Kiev.L’orrore è tanto e la spinge a raccogliere dai vari gruppi Telegram le testimonianze di chi si trova sotto il fuoco. Li verifica e li condivide su TikTok. Si addormenta e si risveglia che le visualizzazioni da qualche centinaio sono passate a oltre nove milioni. Alla BBC Sam Gregory, direttore del programma di Witness, studioso del funzionamento base dei vari social, ha raccontato che gli algoritmi di TikTok, ad esempio, il social che si basa principalmente su brevi video condivisi con amici o follower, si basano non tanto su quanto si segue ma sugli interessi. “Se inizi a mostrare interesse per l’Ucraina l’algoritmo proseguirà nel mostrarti video simili”. Il social vede, “mastica e sputa”, come cantava De André in una celebre canzone. E sputa giusto proprio grazie agli algoritmi. Dai gattini amorosi alla violenza quotidiana che da giorni l’Est Europa sta nuovamente sperimentando sulla propria pelle. L’utente medio è in attesa, guarda, si incuriosisce e si appassiona. Proprio come una Serie Tv, una di quelle che ci si gode sulle piattaforme a pagamento. Si osserva, si controllano gli spostamenti delle truppe – e ciò grazie alla rete internet paradossalmente più in piedi rispetto a tanti edifici civili e governativi ucraini in questo momento – e le varie mosse. Da un lato l’informazione, seppur difficilmente super partes, dall’altro le informazioni che arrivano dai social tempestando gli smartphone di tutto il mondo. Ci si appassiona, ci si emoziona, si esulta o si diventa tristi proprio come di fronte al televisore. Tanto, il dolore è altrui. Ogni informazione che arriva sembra ovattata da un velo di superficialità proprio perché esce dallo schermo illuminato di un piccolo marchingegno nelle nostre mani che supera, doppia e abbatte l’informazione tradizionale che esce mutilata e svilita da una corsa così impari. Eppure la necessità di avere qualcuno che racconti e che riesca a guardare con gli occhi veramente umani è sempre più necessario. “La capacità di ascoltare la società è quanto mai preziosa in questo tempo ferito dalla lunga pandemia. Tanta sfiducia accumulata in precedenza verso l’”informazione ufficiale” ha causato anche una “infodemia”, dentro la quale si fatica sempre più a rendere credibile e trasparente il mondo dell’informazione. Bisogna porgere l’orecchio e ascoltare in profondità, soprattutto il disagio sociale accresciuto dal rallentamento o dalla cessazione di molte attività economiche”, ha detto Papa Francesco nel suo messaggio alla 56esima giornata mondiale delle comunicazioni sociali. Ascoltare in profondità è quanto mai necessario, se non fondamentale, in un momento storico in cui anche l’amico che fino a ieri non sapeva dove fosse la Transnistria ti invia un messaggio su WhatsApp dicendoti che alcuni missili sono partiti da lì. La gara a chi sa prima le cose – e spesso anche peggio – è il deleterio risultato di un mondo che non sa più ascoltare, fermarsi, e discernere l’informazione dall’emozione. Per noi che, fortunatamente, siamo spettatori e non protagonisti di questa terribile guerra, deve essere un momento di carità, aiuto ma anche di autodeterminazione: non ascoltiamo ogni cosa ma valutiamone la bontà e l’utilità. Solo così si potrà invertire, anche se di poco, la triste tendenza a spettacolarizzare tutto, figlia dei nostri tempi.