La cartina di tornasole

Tempo d’estate, tempo di spensieratezza. L’equazione non funzione più se osserviamo l’umore generale, oscillante tra il preoccupato, lo spaesato e il depresso per i disequilibri conseguenti al clima incendiario. Essendo macroscopica, a questo punto, la gravità del problema ambientale, imprescindibile la complessità dell’interconnessione globale e palesi gli interessi contrari ad una effettiva, netta virata verso la conversione ecologico-esistenziale.Come altri Stati europei occidentali, siamo un Paese a secco e in fiamme, che lotta senza quartiere con l’assedio del caldo record, il crollo dei ghiacciai, la scarsità d’acqua, la penuria dei raccolti, i roghi diffusi che inceneriscono ettari di vegetazione. L’aria si è fatta pesante, annerita dai fumi, intossicata dai rifiuti, e in più avvelenata dallo scadimento irreversibile della dialettica politica, prodotto non di un corpo estraneo alla società italiana, ma -si voglia o meno riconoscerlo- espressione anch’esso del Paese.Ovunque si guardi, le ombre si allungano, e l’esigenza di razionalizzare il consumo di acqua potabile si ripresenta provocando un sussulto di sorpresa per la ricomparsa della parola “razionamento”, che illusoriamente si credeva relegata al passato. Abituati com’eravamo a cavalcare la dismisura ignorando i ripetuti segnali di allarme, recepiti dal business dell’eco-friendly per riverniciare di green il neocapitalismo più agguerrito. Ora che la malattia del pianeta è conclamata, a che servono la speranza vaga e il lamento accorato se non a rafforzare l’immobilismo di chi scruta l’orizzonte, nell’attesa che la pioggia scrosci abbondante, che l’aria ridiventi tersa e il cielo sereno? Lo stato di emergenza permanente impone di reimpostare il modus vivendi, ovvero di ricalibrare il modus, una misura ricca di dimensione spirituale che restituisca rispetto e valore a risorse e relazioni.Una misura necessaria a recuperare il senso sfuggente o perduto, e con esso il coraggio di reinventare, assumendola, la realtà, con le forze migliori di cui disponiamo.Lo chiedono i giovani, per i quali il futuro non rappresenta più una promessa ma una minaccia. Il disagio che li affligge e si manifesta con sintomatologie di indubbia origine socio-affettiva, è direttamente correlato all’affanno da fiato corto di un mondo “adulto” in spasmodica rincorsa, poco disponibile a cambiare passo malgrado, al fondo, ne senta un disperato bisogno. Senza una radicale, profonda riedificazione culturale guidata dalla coscienza etica, si infittirà la coltre di fuliggine che affatica il respiro e smorza la gioia di vivere.Gli esperti ci ricordano che il tempo per rammendare l’abito comune ricevuto in eredità è agli sgoccioli.A noi decidere se impegnarci a ripararlo coinvolgendo nell’opera di ricucitura la generazione del domani, che, pur sfiduciata, insistentemente reclama di essere presa sul serio e sostenuta nel dare forma ad una nuova civiltà improntata alla responsabilità sociale.