Il mito tossico del successo nel mondo giovanile

Ospite all’ultimo festival di Sanremo, il rapper Blanco, un ragazzo della “Generazione Z”, ha distrutto le composizioni floreali che adornavano il palco del teatro Ariston.La rabbia del giovane, che già aveva fatto notizia per analoghi scatti d’ira, è esplosa per un problema tecnico, durante l’esecuzione del nuovo singolo “L’isola delle rose”. Al termine della performance, il ventenne ha dichiarato di essersi divertito comunque. Prendendo a calci la scenografia e sfasciando quel che gli si parava davanti, tra i fischi del pubblico incredulo.Dopo il fattaccio, il co-conduttore Gianni Morandi, l’”eterno ragazzo” di Monghidoro, scopa alla mano, ha ripulito il palcoscenico e intonato “Grazie dei fiori”, come a calare un pietoso velo. Ma il re era nudo di una nudità compiaciuta, buttata in faccia agli spettatori in un eccesso di esaltazione. A dimostrare, se ancora non l’avessimo chiaro, che l’Io deificato dal business narcisistico è il feticcio al quale non si resiste. Da cui si diventa dipendenti tanto più se cresciuti a selfie e followers, con l’idea fissa che oggi esisti, vali e monetizzi se sul web parlano di te, se ti rendi oggetto di visualizzazioni, se esponi la tua immagine moltiplicata all’infinito sulla gran vetrina del mondo virtuale. Se, nel 1967, Orietta Berti fu attaccata per il disimpegno di “Io, tu e le rose”, oggi abbiamo davanti l’Io, l’aggressività e le (povere) rose bersaglio del malessere giovanile. L’esibizione di Blanco, che pure prevedeva, come nel videoclip della canzone, fossero strappate e lanciate delle rose, è degenerata in un atto violento e irrispettoso.A riflettori spenti, compreso l’errore, il giovane ha chiesto scusa e perdono. Scuse rinnovate a notte fonda, in una lettera rap indirizzata all’Ariston, che lui ha “messo in lacrime”, che lo ha visto “fragile come un bimbo”.Quel teatro dove, ha scritto Blanco, “sono caduto…mi sono rotto la faccia e piango, Ariston. Ma poi…rido, rido, rido, rido e grido perché non sono perfetto come mi volevi, ma finalmente sono me stesso. Ti voglio bene, Ariston, con tutta la mia follia.”. La realtà è che non pochi ragazzi, braccati come prede dalla morsa di una competizione sfrenata, sono indotti a far coincidere il senso del vivere con il successo delle prestazioni.E se qualcosa va storto, l’argine si rompe, l’onda tracima. Essendosi assottigliato il limite tra la vita e la sua spettacolarizzazione anche estrema.Il crescente disagio generazionale ha scavato una voragine negli animi dei più giovani, scatenando non di rado l’irrazionalità, a volte tragicamente autodistruttiva. L’urlo di rabbia per la frustrazione e per il senso di vuoto, lo gridano in faccia ad un mondo adulto che pare sordo ed impotente, in palese difficoltà a proporre, e seguire con loro, degli ideali culturali trascinanti. Oltre la comfort zone, oltre la visibilità di cartapesta, oltre la lusinga dei like. Verso la vita, dentro la vita, nella quale non si vince né si perde, ma si cresce insieme agli altri. Con i più grandi d’età che aiutano i virgulti a diventare adulti.