“Il Paese delle armi”

In Italia è più facile acquisire una licenza per armi, in particolare quella cosiddetta per tiro sportivo, che la patente di guida. Inoltre, anche se tutte le armi acquistate vanno segnalate alle autorità di pubblica sicurezza, nulla vieta che una persona ne possa possedere anche un gran numero.Approfondiamo tutto questo con Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (OPAL) di Brescia che fa parte della Rete italiana pace e disarmo. Il suo ultimo libro è “Il Paese delle armi. Falsi miti, zone grigie e lobby nell’Italia armata” (Altreconomia), che verrà presentato lunedì 24 aprile alle 18.30 a Gorizia, presso la Chiesa di Sant’Ignazio nella Sala del ’700.

Quando parliamo di armi e della loro diffusione viene spontaneo pensare agli Stati Uniti o alla Svizzera. Perché il titolo del libro “Il Paese delle armi”? Di cosa non ci rendiamo conto?La scelta del titolo non è casuale o un trovata giornalistica. L’Italia è il paese delle armi per quattro chiari motivi.Innanzitutto per la lunga tradizione della produzione di armi da fuoco che viene fatta risalire ai primi anni del XV secolo. In secondo luogo perché, a detta degli stessi produttori di armi, il nostro paese sarebbe il primo produttore europeo di armi sportive e venatorie tanto che il settore viene pomposamente descritto come un’eccellenza del made in Italy.Ma soprattutto – e questo pochi lo sanno – per la facilità con cui si può ottenere una licenza per armi e per il gran numero di armi che si possono detenere con una singola licenza.

Eppure si sente dire che è difficile ottenere una licenza per armi… In Italia è più facile acquisire una licenza per armi, in particolare quella cosiddetta per tiro sportivo (tiro al volo), che la patente di guida.Non è richiesto alcun controllo specialistico sullo stato di salute mentale né un esame tossicologico per verificare l’uso di sostanze psicotrope o l’abuso di alcol: tutto si basa su una autocertificazione firmata dal medico di base e un controllo di idoneità psicofisica presso l’ASL simile a quello per ottenere la patente di guida.C’è poi, ovviamente, un controllo sui precedenti penali del richiedente. Prendiamo un caso noto: Luca Traini, l’attentatore di Macerata, aveva ottenuto la licenza di porto d’armi per tiro sportivo in diciotto giorni.

E circa il numero di armi che si possono detenere con una singola licenza? Si sarebbe portati a pensare che chi ha una licenza di porto d’armi per uso venatorio possa detenere solo armi per la caccia o chi possiede la licenza per tiro sportivo possa acquistare solo armi per le discipline sportive che pratica: non è cosi. Chiunque possiede una licenza di porto d’armi (per difesa personale, tiro sportivo o per la caccia) può detenere tre revolver o pistole semiautomatiche con caricatori fino a venti colpi, dodici fucili semiautomatici con caricatori fino a dieci colpi e numero illimitato di fucili da caccia. Tutte le armi acquistare vanno segnalate alle autorità di pubblica sicurezza, ma niente vieta che una persona ne possieda un gran numero, di fatto un vero arsenale domestico.

Cosa può dirci riguardo alla diffusione di armi in Italia?Va detto, innanzitutto, che non c’è un rapporto del Viminale che certifichi il numero di possessori legali di armi e nemmeno quante siano le armi regolarmente detenute nelle case degli italiani. Gli unici dati provengono da una tabella pubblicata annualmente senza alcun commento sulla rivista della Polizia di Stato: nell’insieme circa un milione e mezzo di persone hanno una licenza di porto d’armi, ma se aggiungiamo coloro che le detengono con il semplice permesso di nulla osta, potremmo arrivare a tre o quatto milioni.Resta invece un mistero il numero di armi legalmente detenute nelle case degli italiani: non è mai stato reso pubblico e, visto che la legge permette di detenere molte armi, la nostra stima è tra i dieci e i dodici milioni.

Quali effetti produce questa situazione? Vale l’assunto “più armi più sicurezza”?È proprio questo il problema centrale. Secondo la retorica corrente un’arma in casa servirebbe a difendersi e rappresenterebbe una sicurezza per tutti.Non è affatto vero e lo dimostrano le statistiche: a fronte di una media certificata dall’Istat di circa dieci omicidi all’anno per rapine – che riguardano non solo quelle nelle abitazioni, ma anche gli esercizi commerciali, banche, gioiellieri e portavalori – il nostro Osservatorio OPAL documenta ogni anno tra i 30 e 40 omicidi con armi legalmente detenute. Ciò significa che se c’è un’arma in casa è molto più probabile che venga utilizzata per commettere un omicidio, e molto spesso un femminicidio, che per difendersi dai ladri.

Quello dei femminicidi è un grave problema. Che rapporto c’è tra armi e femminicidi?C’è un dato poco conosciuto ma molto importante contenuto nel rapporto pubblicato dalla Commissione d’inchiesta del Senato sui femminicidi.Il rapporto documenta che nel biennio 2017-18 in Italia il 16,1 percento dei femminicidi è stato commesso da persone in possesso di una regolare licenza per armi.Il dato è allarmante e il motivo è presto detto: in Italia i possessori legali di armi sono al massimo 4 milioni, cioè l’8 percento della popolazione adulta.Ma questa limitata porzione di popolazione (l’8%) è all’origine del doppio della percentuale di femminicidi (il 16,1%) che si verificano nel nostro paese.Nei momenti di crisi matrimoniali, di separazioni litigiose, di forti tensioni l’arma è sempre un pericolo soprattutto per le donne che spesso non sanno nemmeno che il marito ne possiede una perché su questo aspetto, paradossalmente, prevale la privacy.

Lei parla nel suo libro anche di lobby: ma in Italia c’è una lobby delle armi? Sì c’è una lobby e, sebbene conti al momento pochi pochi aderenti, è molto attiva, ben organizzata – i vertici sono in gran parte avvocati e attivisti del settore – e soprattutto può contare sul sostegno dei produttori e rivenditori di armi e di alcune forze politiche della destra, in particolare di rappresentati nazionali di Fratelli d’Italia e della Lega che hanno sottoscritto con questa lobby un “patto d’onore” per “difendere e garantire i diritti dei detentori legali di armi”.Quali siano questi fantomatici “diritti” nessuno lo sa:  il possesso di armi in Italia è una concessione dello Stato non un diritto.Ma il vero scopo di questa lobby è introdurre nel nostro paese il “diritto a detenere e portare armi” proprio come negli Stati Uniti.

Una domanda finale, cosa ne pensa dell’invio di armi all’Ucraina?Con la Rete italiana pace e disarmo il nostro Osservatorio si è sempre opposto all’invio di armi all’Ucraina per due motivi: innanzitutto perché queste forniture non sono state accompagnate da un forte e convinto impegno sul piano diplomatico. Ma soprattutto per la retorica impiegata: sono state giustificate come “armi per difendere la democrazia e i suoi valori” quando è risaputo che più della metà dei sistemi militari che vengono esportati dall’Italia sono destinati a governi autoritari come le monarchie islamiche assolute arabe, a paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni dei diritti umani come l’Egitto, il Marocco, Israele e finanche il Turkmenistan.Va ribadito quanto ha detto con chiarezza papa Francesco: “Dietro le guerre c’è l’industria delle armi e questo è diabolico”