I segni della fede nella storia

Il secondo appuntamento della “Festa di Avvenire”, ospitata nella basilica di Sant’Eufemia a Grado, ha confermato l’ottimo successo della proposta di approfondimento culturale offerta dalla parrocchia della cittadina insieme al settimanale diocesano Voce Isontina e il quotidiano cattolico Avvenire.Ospite di questo secondo incontro dal titolo “La basilica di S. Eufemia protagonista della cultura” è stato Sua Eminenza il Cardinale Marcello Semeraro, Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi.Intervistato dal giornalista di Avvenire Matteo Liut e dal direttore di Voce Isontina Mauro Ungaro, il cardinale ha proposto un’interessante riflessione su “I segni della fede nella storia: un ricco patrimonio artistico e spirituale”.”Stasera siamo testimoni di una bellezza che parte dalle vicende e dalle storie di vita dei Santi; una bellezza che si sviluppa da una fede che produce arte e cultura, che è in grado di cambiare e costruire la storia. Lo dimostra la nostra terra, dove si sono incontrate e scontrate le culture, lasciando anche cicatrici ma queste portano e raccontano una storia” ha spiegato Liut introducendo e illustrando la serata, partita con una domanda a Semeraro strettamente legata all’attualità: “Durante il periodo della pandemia abbiamo spesso sentito parlare di “eroi”, quei medici, infermieri, volontari che si sono spesi nelle corsie per assistere i malati e contrastare il virus. Eroismo non è però santità. Dove sta la differenza?” ha chiesto Ungaro.”I Santi vorrebbero “parlare” a tutta la Chiesa, vorrebbero giungere su tutto l’orbe cattolico mentre i beati una parte di essa. Entrando nelle Chiese diocesane percepisco veramente che la santità nasce nella Chiesa e ha il suo primo riconoscimento in questa: è il punto di partenza di quello che il Concilio Vaticano II definisce “intelligenza della fede”, ossia il riconoscere da parte dei fedeli in una figura una guida, un esempio, un punto da cui partire.Pensando a quanto successo con il Covid, mi torna alla mente San Luigi Gonzaga, raffigurato con un giglio tra le mani, morto di spossatezza perché curava gli appestati e ammalati. Capiamo quindi così che la figura di un Santo da questo punto di vista è differente, ci parla probabilmente un po’ di più, ha da dirci qualcosa.L’eroismo è una scelta di vita, un comportamento esistenziale che ci scuote e che ci dà da pensare in vista di ciò che può significare essere cristiani. In un contesto come quello che viviamo, papa Francesco li ha definiti i “Santi della porta accanto”, riconoscendo nella vita ordinaria di tante persone segni di eroismo”.Proseguendo sulle tematiche legate all’attualità, Matteo Liut ha chiesto quindi al cardinale Semeraro come poter partire da un mondo che ci dà segnali difficili da comprendere – crisi politiche, guerre, povertà… – a costruire una società nuova, a costruire la pace, cercando di rispondere alla chiamata alla santità che ci ha fatto papa Francesco.Il Cardinale ha fatto così riferimento alla Evangelii Gaudium, “che ci indica la via della gioia e la via della gioia da procurare agli altri. Il Concilio Vaticano II parla di una chiamata alla santità di tutti i battezzati, questo è un aspetto da tenere molto presente”. Il cardinale ha quindi riportato le storie di numerosi santi e martiri, anche dell’epoca moderna, che lasciano intravedere gli spazi in cui trovare risposta, che molto spesso sta in una vita caratterizzata da un’umanità vissuta in pienezza e serenamente, come dono e scambio di amore con gli altri. “Qui all’improvviso fiorisce la santità”.Tra i molti punti toccati durante la serata, al cardinal Semeraro è stato anche chiesto quale sia la figura che maggiormente lo ha colpito nel suo percorso come prefetto del Dicastero per le Cause dei Santi. “Per la massima parte si parla di figure di martiri del nostro tempo; tra le cause di beatificazione mi ha molto colpito la storia di una suora della diocesi Como, uccisa da due ragazze, così come in Spagna moltissimi martiri della persecuzione cristiana all’epoca della Guerra, ma confesso che la figura che mi ha maggiormente segnato è quella del giudice Angelo Rosario Livatino. Di lui mi impressiona in particolare una frase: “quando arriveremo davanti a Dio, non ci chiederà quanto siamo stati credenti ma quanto siamo stati credibili”. La credibilità ci viene dalla coerenza nella vita, cioè se le nostre azioni corrispondono alle nostre parole. Livatino è stato un uomo profondamente cristiano, incorruttibile, ucciso perché non lo si poteva far tacere”.A conclusione della serata, al cardinal Semeraro è stato anche chiesto della sua lunga amicizia con papa Francesco, nata ben prima dell’elezione a pontefice del gesuita. Il cardinale ha quindi raccontato di come si siano conosciuti quasi per caso nel 2001, quando Bergoglio, al tempo arcivescovo di Buenos Aires, venne chiamato in sostituzione del vescovo di New York (impossibilitato a rimanere a Roma a causa dell’attacco alle Torri Gemelle nella sua città) ad un’assemblea sinodale. Volle offrire un caffè a Semeraro e da lì iniziò la loro amicizia.”Nei 12 anni prima del papato, Bergoglio era un bravo gesuita, molto profondo e spirituale – ha raccontato il Cardinale-. Il Papa però per me è diverso da quello che ho conosciuto: ciò che ha detto, anche sulla scelta del nome “Francesco”, gli ha cambiato la vita; c’è stata per lui una vocazione nella vocazione”.”Credo che Francesco abbia due tipi di preoccupazioni – ha aggiunto il Cardinale concludendo -: ad intra riguardante la realtà della Chiesa, la sua organizzazione e struttura; lui è gesuita e la parola Riforma fa parte della spiritualità ignaziana. La riforma comincia quindi dal di dentro: se non ci sono persone nuove, non ci saranno mai strutture nuove; fondamentalmente Francesco ci parla di un ritorno al Vangelo.L’altra preoccupazione è ad extra, dove i temi che sente sono legati a quel nome che ha scelto: Francesco. Parla quindi di fraternità, di un ritorno alle origini, al gesto creatore di Dio.La serata si è così conclusa con il ringraziamento da parte dell’arcivescovo Redaelli – che ha sottolineato l’aspetto della “voglia di diventare Santi, che vuol dire voglia di diventare cristiani: ognuno col battesimo è chiamato a questo” – e di monsignor Paolo Nutarelli, parroco arciprete di Grado il quale ha ringraziato “Avvenire, testata che ha creduto in questo progetto; vogliamo investire nella Pastorale del Turismo, che è anche Pastorale di cultura. Grazie anche al vescovo Carlo, per aiutarci a fare di Grado luogo di cultura, incontro e arte”.