I modelli culturali

Abbiamo visto, nell’articolo precedente, come l’antropologia offra al concetto di cultura una comprensione più profonda ed articolata rispetto alla comune accezione. Andando ora ad approfondire possiamo affermare che la cultura, ogni cultura, possiede due fondamentali caratteristiche.  La prima è quella di tendere alla strutturazione dei suoi elementi che, correlati e uniti insieme,  vanno a formare quelli che chiamiamo i modelli culturali. Ciò significa che una cultura è caratterizzata dalla sua organizzazione interna vale a dire dal configurarsi delle sue diverse caratteristiche in modi che assumono, appunto, la forma del modello culturale. Per esempio un particolare rito matrimoniale non è che un elemento di un più complesso modello culturale che rimanda alla concezione dei ruoli di genere, della famiglia, dei rapporti di parentela , della gestione della proprietà e così via fino alla complessiva idea religiosa del mondo e del sacro. “Nessun uomo guarda il mondo con occhi vergini. Lo vede inquadrato in uno schema ben preciso di costumi, istituzioni, modi di pensare. Anche nella meditazione filosofica non può andare al di là di questi stereotipi; persino i suoi concetti del vero e del falso si riferiranno sempre al particolare costume della tradizione cui egli appartiene” (Benedict, 1934).  La seconda e fondamentale caratteristica è data dal fatto che i modelli culturali sono sempre in una tensione continua con altri modelli sorti all’interno della stessa cultura o provenienti da società diverse e si modificano da una generazione all’altra. I modelli culturali quindi non sono qualcosa di fisso e di immutabile . Sia all’interno della stessa cultura sia nel confronto con altre culture essi tendono alla modifica e  alla trasformazione. Tali considerazioni, se inserite ora in un contesto come quello attuale caratterizzato dalla multiculturalità,  ci aiutano a capire, da un lato, l’ovvia resistenza che naturalmente noi proviamo nell’incontro con l’altro e il diverso, dall’altro ci aprono tuttavia anche alla possibilità che questo incontro possa essere arricchente e profondamente trasformante posto che i modelli culturali non siano corazze invalicabili, monadi chiuse e inviolabili.  Ernesto De Martino, uno dei fondatori dell’antropologia italiana,  chiamava “scandalo etnografico” questo incontro-scontro con la diversità,  ma forse l’espressione più calzante, a dire tutto il disorientamento e finanche l’ansia che il rapporto con il diverso suscita,  è quella coniata dalla statunitense Cora DuBois con il termine culture shock (shock culturale). Mettere a confronto i nostri modelli culturali provoca smarrimento e disordine . Siamo disorientati e confusi e spesso la nostra prima reazione è il rifiuto.  Eppure il confronto con il diverso può anche produrre cambiamento,  spesso pure in modi dei quali non ci rendiamo perfettamente conto e perfino a nostra insaputa. “Il confronto con il diverso ci fa vedere le cose che ci sono familiari sotto una luce diversa, che le rende in qualche modo strane, ci fa vedere quello che di solito non vediamo proprio perché lo abbiamo costantemente sotto gli occhi . Soprattutto, questo estraniamento ci suggerisce che le nostre istituzioni e i nostri modi di vivere non sono gli unici possibili, e non necessariamente i migliori” (Dei, 2012). La società multiculturale ci provoca e ci chiede metaforicamente il coraggio di viaggiare per aprirci al mondo.  Le parole – scrive S.Agostino –  non sono state inventate perché gli uomini s’ingannino tra loro ma perché ciascuno passi all’altro la bontà dei propri pensieri.