Giovani e futuro

Per iniziativa della Pastorale Giovanile Diocesana, alcuni componenti di un gruppo di ricerca hanno condotto a Gorizia due focus-group, rispettivamente con giovani e con adulti impegnati nei campi dell’educazione e del sociale, per far emergere quali siano le aspettative, le aspirazioni, i progetti, ma anche i prevedibili ostacoli riguardo al futuro dei giovani.Al primo focus hanno partecipato 10 ragazzi, 6 maschi e 4 femmine, provenienti da diversi territori della diocesi, distribuiti fra studenti di quinta superiore, universitari, giovani lavoratori o in attesa di prime esperienze professionali. Nel secondo sono intervenuti 9 adulti, di cui due donne, inseriti anch’essi in diversi contesti territoriali della diocesi,  come docenti nella scuola e nell’università, o in amministrazioni comunali, nella cooperazione sociale, negli ambiti educativi non scolastici, sportivi e del lavoro. Gli incontri sono stati introdotti da don Nicola Ban, che, dopo aver ringraziato i partecipanti, ha presentato il progetto che, in sintonia con il Sinodo dei giovani, si propone l’obiettivo di promuovere  un percorso di collaborazione con tutte le realtà che, a vario titolo, si occupano di giovani per realizzare iniziative condivise per loro e con loro. Dopo i saluti di don Nicola, i focus, condotti da un moderatore con la presenza di un osservatore e un verbalista, si sono articolati su 4 domande simili per giovani e adulti, tutte centrate sull’immaginario per il futuro nei prossimi 10 anni, con previsione delle tappe, degli eventuali ostacoli, delle aspettative di supporto dei giovani o, reciprocamente, degli interventi proposti da chi si occupa di giovani per aiutarli a progettare e costruire il loro futuro.Dal confronto fra i risultati dei due focus sono emersi aspetti molto interessanti, che evidenziano quanto sia infondato il generico giudizio negativo spesso rivolto all’intero mondo giovanile, con espressioni del tipo “i giovani sono senza valori”, “ai nostri tempi…”, “insomma, ragazzi, datevi un po’ da fare”. Sia tutti i giovani partecipanti, che hanno rivelato di avere progetti chiari e impegnativi per il loro futuro universitario e lavorativo, sia gli adulti hanno ribadito la necessità di abbattere una serie di stereotipi sul mondo giovanile, affermato l’importanza del rapporto intergenerazionale e, più in generale, delle relazioni, che costituiscono un vero punto critico, perché la loro mancanza provoca un negativo senso di solitudine e isolamento. In entrambi i gruppi è stata contestata la diffusa tendenza alla medicalizzazione dei problemi educativi con la delega allo psicologo. Anche sulla differenziazione dei ruoli c’è stata una totale concordanza: genitori e insegnanti non sono amici, ma hanno compiti di guida e accompagnamento. Molto critici si sono rivelati i giovani verso lo stereotipo che li dipinge come totalmente dipendenti dalle nuove tecnologie e dai social, osservando che spesso sono proprio gli adulti ad utilizzare ossessivamente questi strumenti, compresi i politici che “si comportano come rock star”. Interessante notare che le voci più critiche a questo proposito sono quelle di studenti che provengono da corsi di tipo umanistico. Anche secondo gli adulti, fanno più fatica a staccarsi dal cellulare i genitori che i figli. Ma l’aspetto più rilevante, a dimostrazione di una grande capacità di analisi della situazione sociale da parte dei giovani, è la constatazione che a nutrire preoccupazione e sfiducia verso il futuro sono soprattutto gli adulti che “provengono da un altro mondo” e spesso proiettano sui giovani le proprie ansie, oltre alle proprie aspirazioni. Per i ragazzi, invece, questo mondo è un dato di fatto, non hanno conosciuto il contesto richiamato dalla tipica frase “ai nostri tempi”, non fanno quindi confronti e, tanto meno, possono avere rimpianti. Significativamente un ragazzo, parlando dei rapporti con i genitori, afferma: “Ti chiedono mille volte se sei sicuro delle tue scelte non perché non si fidano di te, ma perché sono in ansia per il tuo futuro. Loro, infatti, a 20 anni già lavoravano e vorrebbero tutelare i figli da un futuro incerto che non sanno come affrontare. Hanno paura perché vedono un presente di disoccupazione e lavoro precario”. Proprio sulle prospettive per il futuro si rivela la maggior differenza fra i due gruppi di giovani e di adulti: mentre questi ultimi parlano di incertezza, di difficoltà a scegliere l’università, di eclisse del lavoro sicuro, i giovani partecipanti hanno tutti espresso in modo molto chiaro e con determinazione le loro aspettative, attribuendo più ai genitori e agli adulti in genere la difficoltà ad affrontare le sfide del futuro.È ovvio, d’altra parte, che i nostri giovani partecipanti, tutti molto positivi, non rappresentano l’intero mondo giovanile: come abbiamo potuto constatare in fase organizzativa, i ragazzi in difficoltà e privi di prospettive semplicemente non accettano di intervenire in un confronto. Un acuto sguardo sulle grandi differenziazioni interne al mondo giovanile è emerso nel focus adulti, in cui sono state individuate due opposte tipologie di giovani, a “velocità” molto diverse: alcuni, molto più veloci degli adulti, sono capaci di affrontare le sfide di questo contesto, dimostrando impegno, determinazione e livelli elevati di competenze; altri appaiono invece “paralizzati, abulici, al palo”, totalmente privi di prospettive e talvolta ostili anche verso chi cerca di instaurare con loro una relazione. È stato inoltre rilevato che queste situazioni negative sono molto più presenti in specifici contesti territoriali della diocesi, con attribuzione di responsabilità a un mondo adulto, incapace di progettare il futuro.La polarizzazione fra estremi opposti, che sembra peraltro caratterizzare sia una società sempre più disuguale sia un mondo politico in cui prevalgono atteggiamenti oltranzisti, pone un interrogativo sulla scomparsa del concetto di “normalità”, evaporato anche in ambito scolastico dove si pone l’accento, da un lato, sui ragazzi da recuperare, dall’altro, sugli eccellenti da promuovere. In un mondo che esalta la competitività e competenze sempre più elevate e innovative, sono scomparsi i giovani e gli studenti “normali”?Non a caso i giovani hanno rivolto varie critiche a scuola e università, dove si valuta solo il rendimento senza occuparsi della persona, esprimendo la necessità di avere insegnanti che amino il loro lavoro e lo svolgano con passione. Più in generale hanno manifestato al mondo adulto richieste di attenzione, ascolto e relazioni significative: c’è un senso di isolamento e di noia da colmare con proposte di dialogo, confronto e impegni seri, fra cui viene citato in particolare il servizio civile. In piena sintonia con le richieste dei giovani, il gruppo degli adulti ha proposto i seguenti interventi: educare alle relazioni e all’introspezione; creare “palestre” di incontro e confronto, mettendo a disposizione luoghi; sviluppare percorsi del “fare”; incentivare l’autonomia dei ragazzi, lasciandoli progettare e abituandoli al peer tutoring; offrire occasioni di impegno in collaborazione con il mondo adulto; far capire concretamente ai giovani che ogni scelta ed azione implicano delle conseguenze. Inoltre, vista la diffusa difficoltà di famiglie sempre meno “solide”, si ravvisa l’esigenza di promuovere gruppi di supporto per i genitori.Da sottolineare che, contro slogan imperanti per lungo tempo in ambito educativo e scolastico, nei due focus non è mai stato utilizzato il termine “disagio giovanile”, etichetta copri-tutto e fuorviante nei confronti di una realtà complessa e molto articolata al suo interno. Queste due esperienze di confronto confermano l’esigenza di  modificare categorie interpretative, linguaggi e proposte di intervento o, come scrive Alessandro Castegnaro in “Giovani in cerca di senso”, di “cambiare lo sguardo”. Una sfida per chiunque si occupa di educazione.