Giornalisti e Giubileo della Misericordia

La festa del patrono -Francesco di Sales, patrono dei giornalisti- è occasione opportuna per ripensare, a pochi mesi dalla chiusura ufficiale del Giubileo della Misericordia, sulle rinnovate responsabilità del mondo della comunicazione e del giornalismo. Una dimensione della vita comunitaria segnata profondamente da una crisi (trasformazione) profonda e da cambiamenti che non possono che indurre al ripensamento di un compito essenziale, quello di essere realmente “quarto potere”, con il compito di vigilare sulla vita democratica delle persone e della società. Un mondo – quello della comunicazione – che per la verità si presenta assolutamente centrale, proprio perché gli strumenti (i media diversi) dimostrano di avere una copertura totale e totalizzante sulla comunicazione e sulla vita di persone e comunità.L’anno che si chiude ha posto al centro (nel luglio scorso) un processo (intentato nella Città del Vaticano contro tre suoi dipendenti e due giornalisti) che ha registrato due condanne e tre proscioglimenti, anche per i due giornalisti autori di due pamphlet – Avarizia e Via Crucis –  dichiarati questi ultimi autori di ricerche su documenti autentici, semmai malati quanto ad interpretazione, visto che fotografano una situazione già superata dai fatti e dalle decisioni.Sentenza che meritava ben altra attenzione culturale (anche all’interno del giornalismo senza tirare in ballo miti inconsulti dei processi sovietici o del diritto di pubblica opinione) Più semplicemente, come ha notato p. Lombardi, direttore della Sala stampa vaticana, si è trattato di applicare una legge interna che mira a contrastare le fughe improprie di notizie riservate.  Ai media spetta il compito di  rappresentare al meglio  quel “quarto potere”, a verifica dei tre riconosciuti (legislativo, esecutivo, giudiziario). Purtroppo, si deve constatare che la realtà pervasiva dei media esercita un condizionamento che giunge a rovesciare il principio di realtà: vero è ciò che si narra o si mostra non quello che si esperimenta e succede.Per chi, come noi, esperimenta l’appartenenza ecclesiale, si evidenzia un altro tema spinoso: quello del posto della pubblica opinione nella Chiesa e delle indagini alle quali sono stati e sono talora soggetti i teologi. Non nella forma contrappositiva (alla responsabilità pastorale), o servile (rispetto all’istituzione ecclesiastica), o, addirittura, alternativa a questa, ma piuttosto capace di esprime il sensus fidei del popolo di Dio. Anche nella sua forma più impegnativa, quella di andare oltre i limiti canonici o di governo o di insegnamento quando lo Spirito e la testimonianza cristiana lo richiedano. E’ il caso, poi, di prendere atto che, in un momento difficile per i media di proprietà e appartenenza ecclesiale, occorre fare uno sforzo per trovare i modi per manifestare ed esprimere al meglio proprio la dimensione sinodale delle comunità cristiane. La questione è la qualità del discernimento e non tanto di possibili scontri di potere.In secondo luogo, merita una verifica ed una sottolineatura il rapporto tra comunicatori – e perciò formatori della pubblica opinione – e comunicazione nel tratto significativo di “mediatori” che non possono dimenticare la responsabilità e, appunto, il discernimento. In due dimensioni, quello della pazienza e del coraggio di descrivere una società complessa, senza pretendere di capire in nome di slogans e di pregiudiziali, ma attraverso la pazienza della ricerca e della lettura nel profondo. In secondo luogo, la grandezza e bellezza della verità, sta di pari passo con le esigenze della chiarezza, dell’efficacia e della profezia che è giustizia. Ricercatori di verità, i giornalisti, non possono che guardare anche alle ragioni della libertà e della relazione tra fatti oggetto di informazione, il destino della persona e il bene comune della società. Una posizione che da sola coglie appunto quella “misericordia” che è il centro della vita, prima di essere un rito o un importante Giubileo.