Fincantieri: sequestri e chiusura dei cancelli…

Risale alla fine degli anni ’60 la volontà sindacale di invertire il trend fino ad allora in essere nelle contrattazioni dello stabilimento navale di Monfalcone di monetizzare la salute dei lavoratori.Il sindacato coniava lo slogan “la salute non si paga”. Basta agli incentivi monetari o alle ferie aggiuntive, fino ad allora oggetto delle vertenze, in cambio degli alti rischi cui talune professionalità erano fortemente esposte. L’amianto, pur essendo in quegli anni al massimo del suo utilizzo, non veniva nemmeno menzionato. Va da sé che lo slogan, e tutte le procedure concordate successivamente tra il sindacato e la direzione dello stabilimento, non possono aver eliminato tutti i rischi per la salute che vi sono in un cantiere navale che, nonostante i grossi miglioramenti fatti, rimangono sempre alti.Come interpretare, quindi, l’immediata serrata del cantiere decisa dalla direzione aziendale l’altra settimana a seguito dell’ordinanza della Magistratura di chiudere alcuni siti del cantiere adibiti a deposito di materiali di scarto, peraltro non direttamente pregiudizievoli alla continuità produttiva?L’ordinanza era la conclusione di un iter giudiziario avviato nel 2013 a seguito della denuncia nei confronti di Fincantieri di stoccare e gestire rifiuti prodotti da terzi senza autorizzazione.La chiusura non è stata certo effettuata per la tutela della salute dei lavoratori diretti (basti pensare che la pericolosità dell’amianto non ha avuto nessuna ripercussione all’epoca sull’attività lavorativa da parte dell’azienda). Gli scarti di produzione nocivi sono importanti per la salute di tutti, cittadinanza e lavoratori, ma certamente, nel caso di specie, non in misura tale da provocare una siffatta reazione.Quali sono, quindi, le vere motivazioni della chiusura dei cancelli? Gli organi di stampa che quotidianamente ci hanno aggiornato sulla gravissima problematica, nulla hanno avuto modo di dire al riguard o.L’amministratore delegato della Fincantieri ha voluto ribadire che in Italia fare impresa è ormai un atto eroico e che se si vuole rimanere sul mercato delle navi da crociera non bisogna avere la puzza sotto il naso (vedi come operano le ditte appaltatrici e le contraddizioni che lo stabilimento navale porta sul territorio).Quale migliore opportunità, quindi, di quella offerta della chiusura di alcune aree per problemi ambientali per regolare anche altre questioni aperte ma ancora insolute? Plaudiamo alla ripresa dell’attività perché, come sempre, i problemi ricadono sulla testa degli incolpevoli lavoratori. Le maestranze della Fincantieri non hanno ancora alcuna certezza sulla retribuzione dei giorni della forzata chiusura. Crediamo tuttavia doveroso che la politica, a tutti i livelli, si impegni in modo analogo a quello posto in essere per la riapertura dello stabilimento per approfondire, senza reticenze, le vere motivazioni che stanno alla base di un atto così forte. Ciò, al fine di impedire che siano sempre i lavoratori a pagare per le contraddizioni che la società e il mercato continuano a porre in essere.