Esiste un progressivo abbandono del welfare da parte dello Stato?

Ho avuto il piacere di essere invitato a partecipare all’iniziativa che il circolo culturale “Fanin” di Romans promuove ogni anno per premiare i concittadini pensionati a testimonianza del riconoscimento della comunità per la loro operosità e dedizione al lavoro durante la vita attiva. Persone anziane, mai apparse agli onori della cronaca ma che con il loro operato hanno contribuito, unitamente a milioni di italiani, alla rinascita del Paese. Un’iniziativa lodevole, scevra da ogni retorica che fa riflettere sul come oggi viene vissuto il mondo del lavoro e come esso si riverbera nella società.Nessuna nostalgia del passato, pertanto, anche perché queste persone hanno trascorso una gioventù in cui erano presenti per lo più disagi, privazioni e fatiche. È evidente che oggi il mondo del lavoro è cambiato e, con esso, anche la società in cui viviamo.Rimane, comunque, sempre valido il fatto, oggi più che mai, che svolgere un lavoro dipendente continua ad essere sottovalutato e, per i lavoratori, si presenta un presente e un futuro pieno di incertezze. Mi riferisco, in particolare, alle novità contenute nei rinnovi contrattuali sia a livello aziendale, in quelle poche realtà dove ancora si riesce a concluderli, sia a livello nazionale ,sia relativi ai lavoratori pubblici (stato-regioni) sia a quelli privati (vedi metalmeccanici). In tutti i rinnovi emerge infatti la presenza di un conto welfare di cui mai prima d’ora era stata sentita la necessità: si tratta di contributi che l’azienda intende erogare sotto forma di welfare sanitario e/o sociale, che non vanno aggiunti ai salari erogati ma vi sono compresi, una risposta che prende atto del mutamento progressivo del sistema fino ad oggi conosciuto. Un qualcosa in più, si sostiene, per il benessere del lavoratore e della sua famiglia, scelta peraltro avallata anche dalle organizzazioni sindacali più rappresentative. Viene però da chiedersi se non si stia lavorando per un progressivo abbandono del welfare da parte dello Stato.Innanzitutto, vedo in ciò un ritorno a quel passato in cui avevamo lottato per avere un’assistenza sanitaria universale: universalità che pur non sembrando essere messa in discussione, di fatto, le attuali scelte sembrano ridurre. Come spiegare altrimenti la delega sanitaria nei contratti d lavoro? La seconda perplessità riguarda la tutela sociale/sanitaria di coloro dei disoccupati o di chi ha perso il lavoro. Per non parlare di quanti hanno pensioni minime, non certo in grado di sottoscrivere assicurazioni, con buona pace di chi continua a sostenere che sono le loro “laute” pensioni a rubare il futuro alle nuove generazioni.I pensionati del nostro territorio, come quelli premiati a Romans, e sono la maggioranza, hanno speso la vita lavorativa in cotonifici e fabbriche metalmeccaniche , e certamente la loro attuale pensione non li ripaga di 35/40 anni di fatiche. Vogliamo ridurre loro progressivamente le conquiste sanitarie già oggi ridotte al minimo?