Diritto di Parola, tanta voglia di farsi sentire

La a memoria di questo tempo segnato dal Covid-19 passa anche attraverso le storie di chi ha visto stravolta in maniera ancora più particolare la propria esistenza.Dal 2003 opera a Gorizia l’Associazione “Diritto di Parola” Onlus che, grazie al suo sostegno e alla sua formazione, consente a tanti ragazzi e adulti disabili di potersi esprimere per mezzo della Comunicazione Facilitata Alfabetica, strumento che favorisce, ma anche amplia, le occasioni di relazione e di comunicazione di queste persone, prive di linguaggio vocale funzionale, che trovano nella Comunicazione Facilitata lo strumento per superare le difficoltà di espressione autonoma del proprio pensiero e dei propri bisogni.Un’esperienza resa possibile grazie anche al sostegno economico offerto dall’Arcidiocesi grazie ai fondi dell’8×1000 della Conferenza episcopale italiana.Anche per questa associazione il lockdown degli scorsi mesi ha significato fermare le proprie attività.Il presidente, Fabio Sesti, ci ha parlato di questi mesi, sicuramente “pesanti” da affrontare, trascorsi sempre con la voglia di farsi in ogni caso sentire vicini alle famiglie, anche con un semplice “noi ci siamo”.

Dottor Sesti, il lockdown ha di fatto fermato gran parte delle attività del Paese, comprese quelle associative ed educative.Qual è stato il vostro primo pensiero, ossia quali le più immediate preoccupazioni per i vostri ragazzi?L’evoluzione del fenomeno pandemia è stata così rapida e inaspettata che ha colto quasi tutti noi di sorpresa.Il susseguirsi di voci contraddittorie, normale in un dibattito scientifico puro, è stato devastante per tutti coloro che – in mancanza di conoscenze specifiche al riguardo – si aspettavano indicazioni operative chiare e, diciamolo pure, rassicuranti.Tuttavia la risposta della popolazione è stata più matura e responsabile di quanto ci si poteva aspettare e progressivamente un senso di solidarietà nella battaglia comune ha finito per prevalere.Ciò non toglie che gli strati più vulnerabili del tessuto sociale – e tra questi le persone con disabilità, oltre ai bambini e agli adolescenti – ne abbiano portato il peso maggiore.Venendo alle persone che frequentano il nostro centro (non solo di ragazzi si tratta ma anche di adulti), la preoccupazione maggiore era quella di quanto avrebbe inciso il lockdown sulla loro sensibilitàLa nostra associazione, come sapete, lavora sullo sviluppo della comunicazione e l’improvvisa sospensione della pratica della CF, che per molti di loro è stato lo strumento principale di accesso a relazioni sociali allargate e personalmente gratificanti, poteva rischiare di farli ripiombare nel silenzio e nell’isolamento.

Siete riusciti in qualche modo, mi passi il termine, a “reagire”?E’ stato possibile per voi in qualche modo proseguire, magari in maniera autonoma all’interno delle singole abitazioni, con la vostra attività?Abbiamo cercato di mandare dei messaggi di incoraggiamento, più che altro come per dire “ci siamo”, “questa fase si supererà e riprenderemo a lavorare assieme”.Ma è difficile misurare la portata di certe emozioni senza potersi vedere e percepire da vicino le reazioni.

Il presidente della Consulta Regionale delle Associazioni delle persone con disabilità e loro famiglie, Mario Brancati, ci ha raccontato di come il lockdown sia stato particolarmente duro per le famiglie perché si sono sentite lasciate sostanzialmente sole a gestire il figlio o famigliare disabile durante la fase di chiusura. Qual è il vostro vedere in questo? Vi siete sentiti lasciati effettivamente soli? Cos’è mancato in particolare “dall’alto”?Non credo giovi continuare sempre a lamentarsi su ciò che “dall’alto manca”. In questo caso direi che dall’alto sono state fatte scelte impegnative, dolorose, ma ampiamente giustificate dalla gravità della situazione.Quello che – nel nostro caso – manca dall’alto, ma che non c’entra con la pandemia, è una vera e propria rivoluzione culturale nel modo di affrontare il problema della disabilità.Se ora l’emergenza sanitaria ci costringerà a mettere in discussione il modello sociale prevalente centrato sulla competizione e a correggerlo in senso solidaristico, direi che tanta sofferenza non è stata invano.Ma aspetterei di capire come sarà il “dopo”.Ora è troppo presto per fare il punto sulla situazione. L’auspicio comunque è che la lezione serva a qualcosa e direi che la redazione di Dadi esagonali lo aveva capito con largo anticipo.

Dal punto di vista delle famiglie, cos’è stato più complicato, particolarmente sentito nel corso del lockdown? E dal punto di vista dei ragazzi?Penso che veder cambiare d’improvviso la loro routine sia stata una novità (se non addirittura un colpo) complicato da affrontare…Su cosa sia stato più o meno duro, in qualche modo è già emerso nelle risposte precedenti: il ritorno al silenzio, tanto più grave quanto più si era sperimentato il gusto di esprimersi e di far “sentire” la propria voce.

Come procedono ora le vostre attività e iniziative? Avete potuto riprendere e se sì, in che modalità? Il vostro supporto prevede un contatto fisico diretto con i ragazzi, è possibile fare ciò?Come in tutte le attività “pubbliche” anche da noi sono state adottate misure di distanziamento ma le modalità di pratica della Comunicazione Facilitata rimangono, né potrebbe essere altrimenti, quelle solite.In ogni caso devo sottolineare la serietà e il senso di responsabilità dimostrato da tutti, operatori e utenti, nel sottoporsi alle procedure di sanificazione e nell’uso delle pratiche igienico – sanitarie indicate dai protocolli del Ministero della Salute.

Prospettive (ma diciamolo, anche timori o preoccupazioni) per il proseguimento?I timori nostri non sono diversi da quelli della maggior parte delle persone che hanno capito che di vera emergenza si sia trattato (e tuttora si tratta).Una preoccupazione tuttavia è stata fugata, quella di tornare indietro.Ci siamo ritrovati là dove ci eravamo lasciati, il dialogo, l’ascolto reciproco (nelle forme ovviamente della Comunicazione Facilitata) è ripreso come prima e con una consapevolezza in più: se la nostra società sarà stata in grado di apprendere la lezione, è dal modello solidaristico e di assunzione di responsabilità che noi cerchiamo di rappresentare che dovrà ripartire, non certo dal far finta che tutto sia passato e che si possa riprendere la vita di prima come se non fosse accaduto nulla.Il virus ci ha fatto toccare con mano la nostra fragilità e nel contempo la forza dei legami con cui possiamo far fronte e vincere le sfide che abbiamo davanti.