Commercio e dopo Covid – 19: quali prospettive?

Com’è ormai purtroppo noto, il Coronavirus ha portato con sé, oltre all’epidemia, anche una crisi economica che sta diventando ogni giorno più palpabile.Tra quelli che stanno pagando le conseguenze del Covid – 19, anche i grandi centri commerciali, le cui attività hanno ancora, in gran parte, le saracinesche abbassate.Abbiamo sentito a riguardo Antonio Bardelli, imprenditore e presidente della società titolare del Città Fiera di Martignacco, in provincia di Udine. Con lui abbiamo analizzato la situazione in cui versa attualmente il mondo dell’imprenditoria e del commercio, soffermandoci inoltre sulle possibili soluzioni e su come la sua società si sia posta in prima linea per potare il proprio contributo tanto alla sanità, quanto ai vari settori economici del territorio locale.Signor Bardelli, il Città Fiera è la realtà commerciale più grande della regione e ha saputo percorrere i tempi, anche anticipandoli. Attualmente da quanti negozi è composta e quanti dipendenti conta? Cosa possiamo dire che ne “fa la differenza” rispetto ad altre realtà della stessa categoria?Il Città Fiera è una realtà che oggi conta circa 130.000 m quadrati di superficie con 250 attività, molto varie tra loro: si va dai servizi di ristorazione, ai servizi per il tempo libero, passando ovviamente per una vasta offerta commerciale su più settori. Una realtà che dà occupazione a circa 1.700 dipendenti.Per fornire un’idea a livello generale, in Italia il sistema dei centri commerciali dà lavoro a circa 800.000 persone, sviluppando un contributo all’erario che si aggira attorno ai 28 milardi di euro l’anno, pertanto è un comparto che ha un peso rilevante nel Paese.Cosa penso faccia la differenza? Molto probabilmente la quantità e la qualità dell’innovazione, continua, dell’offerta, accanto alla comodità di passeggiare all’interno di un’area protetta, con un’ampia disponibilità di parcheggi. Non da ultimo, la differenziazione dell’offerta.

Il momento di emergenza che stiamo vivendo vi sta toccando molto da vicino. Dal suo particolare osservatorio, che situazione vede, quali particolarità si trova di fronte, anche allargando lo sguardo al comparto economico locale?Stiamo lavorando, in questo momento, con meno del 10% delle attività aperte, con i flussi di clientela ridotti circa dell’80%.Allargando lo sguardo, la nostra una regione con una vocazione turistica importante e rilevante, quindi il settore del turismo, insieme a quello del commercio e dei servizi alla persona, soffre e sarà costretto a riaprire più tardi rispetto alla parte produttiva.Ci sono attività che stanno soffrendo molto, ci sono già segnali forti di grande preoccupazione da parte anche di tutte quelle migliaia di piccole imprese che, nell’insieme, danno lavoro a decine di migliaia di persone, che guardano al futuro con grande apprensione.So che questa fase finirà prima o poi; l’importante è trovare i sistemi e la forza per resistere all’urto, finché passerà.

Quali sono, a suo avviso, i settori che, forse più di altri, “accuseranno il colpo”?Direi tutto il mondo legato ai servizi per il tempo libero e alla persona, come ad esempio le sale cinematografiche, che in questo momento non sanno neanche quando potranno riaprire; anche il mondo della ristorazione, per il quale l’apertura è prevista per il 1 giugno, è particolarmente coinvolto. Credo che questi settori siano quelli toccati un po’ più degli altri, anche se i problemi accomunano un po’ tutte le categorie, perché ci troviamo di fronte ad una crisi inedita e contemporanea a tutto il mondo, per cui i tradizionali sistemi di diversificazione del rischio potrebbero non reggere più.Parlo, per esempio, per la produzione agricola: chi aveva puntato sull’esportazione, in questo momento con blocchi in tutto il mondo, si trova a fare i conti con diversi problemi.Ci troviamo davvero di fronte a situazioni incerte, sia dal punto di vista del virus, della sua conoscenza, che degli effetti che sta generando sull’economia. Bisogna quindi cercare di dare all’impresa delle certezze, perché di incertezze ce ne sono già troppe.

Quali quindi, a suo vedere, gli interventi più immediatamente necessari da mettere in campo a livello governativo, tanto nazionale quanto locale?Se n’è parlato e se ne parla molto, fa parte del dibattito al quale proprio in questo momento assistiamo ogni giorno. Ovviamente l’immissione di liquidità da parte delle banche, aiutate dallo Stato, nei confronti delle aziende, è un elemento determinante.Ciò che davvero conta, è che non sia soltanto un annuncio ma che avvenga in termini reali e con delle normative che siano facili e chiare, che non lascino spazio nuovamente a difficoltà burocratiche, che renderebbero vani gli sforzi messi in atto.Far in modo quindi che realmente i sostentamenti previsti arrivino nelle casse delle aziende le quali, non potendo fatturare, ovviamente si trovano a dover fare i conti con enormi difficoltà su tutti i fronti.Altro aspetto fondamentale è creare un dialogo più stretto con gli operatori – ma operatori che abbiano esperienza sul campo, non solo esperti di macroeconomia – perché è importante certamente rispettare le normative di sicurezza, ma bisogna che tali normative siano discusse con chi ha un’esperienza concreta, altrimenti si corre il rischio di farle diventare impraticabili o di appesantirne in modo talmente importante la gestione, da diventare insostenibili per le imprese.Credo sia il momento di capire e riscoprire il ruolo sociale dell’impresa: è l’unità organizzativa attorno alla quale si sviluppano le possibilità di lavoro e questo non è un “fatto economico” ma un “fatto sociale”, un diritto richiamato anche nell’articolo 1 della nostra Costituzione, un valore fondante.

Quale futuro si prospetta per il commercio regionale e soprattutto come crede cambierà l’approccio degli utenti al fare acquisti?In questo momento la crisi ha privilegiato le vendite on – line, con tutto quello che ne consegue anche in termini fiscali e di contributo al funzionamento del nostro Paese. Sono però abbastanza fiducioso che, nel momento in cui essa cesserà, la voglia della gente di socializzare e di “sperimentare” non il mondo del commercio virtuale, ma reale nella propria vita, ritorni a far uscire la gente e a farla venire nei negozi “tradizionali”, che potranno così recuperare.I problemi presenti in questo momento sono due: la paura del Coronavirus e l’incertezza per il futuro, che potrebbe giocare un ruolo crescente, in modo proporzionale alla crisi dell’economia che stiamo già vivendo.

Voi e la vostra realtà commerciale da sempre sostenete numerose iniziative benefiche e anche in questo momento avete voluto far sentire la vostra vicinanza per far fronte all’epidemia. Ci racconta un po’ la vostra idea?Siamo partiti, nelle prime fasi di diffusione del virus, dando un aiuto alla Sanità regionale, fornendo 100.000 euro per risolvere i più immeditati problemi dovuti all’insorgere dell’emergenza.Subito dopo ci siamo posti il problema di pensare al “post” Coronavirus e al blocco totale: prima o poi la situazione si sbloccherà, non può durare in modo indefinito. Dovendo quindi, ad un certo punto, allentare il blocco – cosa che si sta rilevando attuale – già un mese e mezzo fa abbiamo iniziato a pensare a come poter far ripartire le attività con il miglior grado di sicurezza possibile. Abbiamo avviato fruttuosi contatti con l’Università di Udine e con l’Azienda Sanitaria per cercare di capire in che modo potevamo aiutare a studiare dei piani di riapertura, appunto il più sicuri possibile, e abbiamo così creato una raccolta fondi.In questo momento c’è un piccolo “stop”, perché la parte su cui si stava indirizzando la ricerca, ovvero l’analisi sierologica, presenta delle incertezze dal punto di vista scientifico, quindi c’è un momento di riflessione per comprendere quali risultati siano più utili al fine di una ripartenza.Ad ogni modo è stata messa insieme una buona squadra di esperti, ci siamo messi a dialogare insieme, cercando di capire come potevamo appunto essere utili; abbiamo avuto l’appoggio anche  di diverse categorie economiche, pertanto abbiamo interpretato l’esigenza di tanti – industriali, commercianti, artigiani… – prendendoci con un discreto anticipo.Un mese e mezzo fa era importante sensibilizzare il Governo e i vari livelli di amministrazione locali a non pensare solo all’emergenza, ma capire anche le fasi di ripresa; ora il tema è diventato realmente di interesse prioritario. Noi cercheremo, in questo, di dare la nostra “goccia” di contributo.