Come parlare di guerra a bambini e ragazzi?

Parlare di guerra, e della guerra in corso vicino a noi, a bambini e ragazzi?Forse qualcuno, soprattutto per i bambini, prima ancora del come, si chiede se sia opportuno parlarne, nel timore che l’argomento possa attivare ansia e paura.Ma, diversamente dai tempi in cui i bambini vedevano al massimo Carosello e condividevano molto meno di oggi conversazioni e preoccupazioni riservate agli adulti, nell’attuale società dell’informazione e di una tendenziale “adultizzazione”, anche i più piccoli sono esposti di continuo a flussi di notizie e immagini dominate dalla violenza, reale o virtuale, spesso senza identificarne le differenze.Quindi molti esperti di età evolutiva e anche grandi organizzazioni internazionali, come UNICEF, Save the Children, Emergency, propongono una serie di avvertenze rivolte a genitori, insegnanti ed educatori per affrontare il tema della guerra in modi adeguati al diverso livello di sviluppo di bambini e ragazzi.Una premessa indispensabile a qualsiasi intervento in merito è che l’adulto di riferimento abbia fatto i conti con le proprie emozioni e reazioni per non trasmettere a sua volta stati d’ansia o di rabbia, o posizioni precostituite contro una delle parti in conflitto.Il primo passo da compiere, sia con bambini sia con ragazzi più grandi, consiste nel capire cosa già sanno e quali sono i loro stati emotivi nei confronti della situazione che hanno percepito. Come sempre si tratta di ascoltare prima di dare informazioni, da commisurare sempre all’età e alle sensibilità individuali.Importante poi non generalizzare, addossando a un intero popolo la responsabilità di crimini di guerra e rischiando in tal modo di alimentare stereotipi e discriminazioni etniche.La via dovrebbe essere piuttosto quella, come affermano le educatrici dell’Ufficio Scuola di Emergency, di “spiegare loro che la guerra è una scelta, così come fare la pace e costruire una cultura di pace è una scelta, e lo si può fare attraverso il rispetto delle persone e quindi dei diritti umani, non voltandosi dall’altra parte”.In quest’ottica, di educazione alla pace e di assunzione di responsabilità, vanno valorizzate le storie dei coetanei coinvolti dalla guerra per suscitare sentimenti di empatia e solidarietà, senza indugiare su orrori e violenze, ma mettendo in luce l’impegno di chi porta aiuto e assistenza alle vittime, di chi lavora per fermare il conflitto armato e le violenze, di chi, anche in una situazione di guerra, lotta per salvare vite. Come scriveva la storica della Resistenza, Anna Bravo, dovremmo cambiare il nostro sguardo sulla storia cercando le storie non del “sangue versato”, ma del “sangue risparmiato”: “Tra gli storici c’è un’implicita accettazione dell’idea che siano la violenza e la guerra che fanno la storia. In realtà, come diceva Gandhi, se fosse stata egemone la guerra noi non saremmo vivi”. Anche oggi, anche nelle situazioni di guerra, esistono i giusti. Secondo il Talmud: “Esistono sempre al mondo 36 Giusti, nessuno sa chi sono e nemmeno loro sanno d’esserlo ma quando il male sembra prevalere escono allo scoperto e si prendono i destini del mondo sulle loro spalle e questo è uno dei motivi per cui Dio non distrugge il mondo”. A bambini e ragazzi, ma anche a un mondo di adulti spesso disillusi e inclini alla rassegnazione se non al cinismo, vanno proposti sia modelli positivi di impegno etico e civile, sia esperienze concrete di solidarietà e di soluzioni non violente dei conflitti che anche loro sperimentano. Con i ragazzi più grandi, in particolare a scuola, sempre partendo dalle loro domande e precomprensioni, si possono inoltre realizzare percorsi più complessi e interdisciplinari per analizzare cause ed effetti delle guerre, gli assetti geo-politici, il diritto internazionale e italiano a riguardo, le diverse posizioni in campo, sempre con l’obiettivo di educare alla pace e al pensiero critico nei confronti di stereotipi, fake news, estremismi.”Partiamo da qui” – scrive lo psicoterapeuta Alberto Pellai- “ovvero da una narrazione veritiera che comunica come il senso di cooperazione e solidarietà che ciascuno di noi può agire nel piccolo delle proprie vite, rappresenti il migliore antidoto alla paura e ai pericoli che una minaccia come la guerra rappresenta”.