Chiamati ad essere “cronisti della storia”

Una lezione che è stata una esortazione alla corresponsabilità. Si potrebbe definire così l’udienza concessa lunedì dalla scorsa settimana da Papa Francesco ai membri dell’Unione Cattolica della Stampa italiana, riuniti a Roma in occasione dei 60 anni dalla nascita dell’associazione. A prenderne parte, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico in Vaticano, anche una delegazione rappresentativa della nostra regione composta dalla presidente Luisa Pozzar, dal vicepresidente Jurij Paljk, dalla segretaria Anna Piuzzi e da chi vi scrive in qualità di tesoriere. I rappresentanti del territorio hanno donato al Santo Padre i settimanali diocesani della regione e della minoranza slovena assieme ad altre pubblicazioni di stampo cattolico. Abbiamo potuto ascoltare parole incoraggianti e un saggio invito a tenere i piedi per terra per “non raccontare fiabe”. In un certo senso il Papa ha aggiornato la preparazione deontologica di ognuno.

La coesione sociale “Il giornalista – che è il cronista della storia – è chiamato a ricostruire la memoria dei fatti, a lavorare per la coesione sociale”. Una frase interessante che ci provoca – nel senso buono – ci persuade invitandoci a raccontare i fatti nell’ottica del rispetto del bene comune e dei diritti sociali di ogni persona. Con “parresia”. Aderire in questa maniera ad un linguaggio chiaro, anche netto ma non arrogante.

Con lo stile evangelicoLa libertà messa in primo piano deve ungere il nostro stile, i nostri testi, il nostro lavoro di “cronisti della storia”. Questo ha voluto dire il Papa dicendo: “essere liberi di fronte all’audience: parlare con lo stile evangelico: “sì, sì”, “no, no”, perché il di più viene dal maligno (cfr Mt 5,37). La comunicazione ha bisogno di parole vere in mezzo a tante parole vuote”. Un invito dunque affinché gli spazi di libertà – pulita e disinteressata – prevalgano su quelli della schiavitù nel rispetto dei singoli uomini e delle situazioni oggetto dei nostri racconti di cronaca o di riflessione.

Le parole nell’era del web“Nell’era del web il compito del giornalista è identificare le fonti credibili, contestualizzarle, interpretarle e gerarchizzarle”. Francesco ci ha avvertiti. Emerge e prende forma una nuovo profilo del giornalista che dipende anche dall’avvento dei social.Si parla ormai di professionisti dell’informazione responsabilizzati ad usare bene – cioè con le dovute sensibilità – le tecnologie e i nuovi media. Non basta evidentemente portare sotto braccio un tablet ma assieme a quel mezzo muoversi correttamente e con giudizio nel caos della mescolanza sapendo accorgersi delle priorità necessarie da raccontare e descrivere.Quel “rovesciare l’ordine delle notizie” allora non significa vendere a buon mercato quello che ci pare ma saper individuare la notizia buona, quella coinvolgente, bella e reale che germoglia nelle nostre comunità.

I rami secchiAbbiamo sentito anche che è urgente fare la manutenzione – in un certo senso – nella propria professione. “Potare i rami secchi”. Quando dalle radici non si attinge più la linfa vitale per raggiungere obiettivi e conseguire risultati, bisogna trovare il coraggio di rinnovarsi per vivere in amicizia e fratellanza questo mestiere.

La moneta della franchezzaSull’esempio del Beato Manuel Lozano Garrido ci ha richiesto di lavorare con gusto e con purezza al servizio della vita onesta. Abbiamo ricevuto un dizionario nuovo con un’ iniezione che è stata un mix di entusiasmo, serenità e coraggio. Una carica per guardare all’orizzonte dove non mancano mai sfide da affrontare e vivere. Insieme con il Papa, in sinodalità.