Burkina Faso, un mese dopo…

Ivana Cossar e Luisella Paoli proseguono il loro impegno missionario in Burkina Faso, terra che lo scorso mese è stata scossa da un terribile attentato. La capitale Ouagadougou è stata messa a ferro e fuoco e, negli scontri, si sono registrate vittime tra gli attentatori e tra i civili tra cui, purtroppo, anche dei bambini. Ivana e Luisella sono scampate all’attentato, nonostante si trovassero entrambe nei pressi della capitale. Le abbiamo contattate e ci hanno raccontato il loro vissuto in quei terribili momenti, tra incertezza e paura.

Ivana, come ricordi i giorni precedenti l’attentato del mese scorso?Ero nella capitale, Ouagadougou. Avevamo anticipato di una settimana la visita per la Comunione agli ammalati di diverse Comunità Cristiane di Base della periferia in vistab dell’arrivo di Luisella, previsto il 15 gennaio, e questo per poter partire quanto prima per la nostra tournée sulle diocesi di Nouna e Dedougou nel sud-ovest del Paese. Si trattava anche di accogliere, a Bobo – Dioulasso, “la delegazione speciale” della Diocesi di Gorizia proveniente dalla Costa d’Avorio – don Michele Stevanato e Claudia Pontel, missionari a Bouaké -, che avrebbe rappresentato il nostro Arcivescovo invitato a Nouna, da Monsignor Joseph Sama.

Si presagiva che sarebbe potuto succedere qualcosa?I giorni precedenti al 15 gennaio mi hanno visto attraversare la capitale in lungo e in largo per diverse ragioni: procurare il latte per i bimbi dell’orfanotrofio di Bobo – Dioulasso e di Nouna, prendere le disposizioni necessarie per far arrivare i finanziamenti nei rispettivi economati diocesani per i progetti in corso, fare la spesa, prevedere e preparare certe pietanze in anticipo per permetterci di dedicare la massima attenzione agli “ospiti”, offrendo loro la possibilità di toccare con mano le ricche realtà della Chiesa Famiglia del Burkina Faso e del nostro impegno missionario. In tutto questo trambusto, per le vie di Ouagadougou come pure negli uffici e nei negozi, nulla sembrava anticipare cosa sarebbe accaduto. Dopo l’attacco terrorista alla Gendarmerie di Samorogouan di alcuni mesi prima, si viveva “normalmente” pur sapendo che ormai la situazione non poteva essere come prima. I terroristi non si annunciano in anticipo, rimangono imprevedibili i dove, quando, chi e come. Perciò si continuava a muoversi con una certa prudenza, “come se”… tutto dovesse andare comunque per il meglio! Ovverosia, siamo sempre nelle mani di Dio.

Come hai passato quel 15 gennaio a Ouagadougou?Finite le visite agli ammalati verso le 13, ho dedicato il resto del pomeriggio a sistemare l’abitazione. Quella sera dovevo andare all’aeroporto a prendere Luisella, ma la nostra auto non partiva e così ho deciso di prendere un taxi. Ad un certo punto una moto si è affiancata al taxi in corsa e l’uomo continuava ad inseguirci gesticolando eccitato, puntando il dito verso di me. Ad un semaforo ha gridato all’autista di ritornare immediatamente indietro “In città stanno sparando!”. Dovevamo passare proprio per quella via per arrivare all’aeroporto: l’attacco terrorista era già iniziato da una ventina di minuti. La via era in fiamme. Le raffiche dei kalashnikov sono proseguite tutta la notte, fino alla mattina successiva, lasciando una trentina di vittime – tra le quali tre giovani terroristi – e seminando angoscia, rabbia, terrore.

Quali i primi pensieri e preoccupazioni alla notizia dell’accaduto?Le notizie confuse del momento mi hanno fatto temere che l’aereo stesso, con i suoi passeggeri, potesse essere motivo dell’attacco. Arrivata nel nostro quartiere sono entrata nella comunità vicina, ancora ignara di ciò che stava succedendo in città, e assieme abbiamo seguito in diretta televisiva: si sparava senza sosta…Verso le 22 sono riuscita a raggiungere Luisella attraverso un messaggio al cellulare. Grande sollievo, deo gratias! Il suo aereo era già in fase di atterraggio su Ouagadougou ma era stato subito dirottato su Niamey, in Niger, e successivamente a Lomé, in Togo.

Che situazione c’è ora nel Paese, a quasi un mese dall’evento?C’è un tentativo di ritorno alla normalità a tutti i livelli. Le misure di sicurezza, più intense le prime settimane, si concretizzano nei controlli  dei veicoli e passeggeri, lungo tutte le assi stradali: blocchi di militari, polizia, dogana… Tutti sono invitati a collaborare. I Governanti e la popolazione stanno affrontando il problema con determinazione non volendo lasciarsi impaurire ne intimidire da questi atti “ignobili”, ne da chi li perpetra. Ci sono stati incontri di preghiera e di riflessione tra le diverse organizzazioni religiose. I musulmani praticanti condannano con fermezza il terrorismo criminale in tutte le sue forme.  Il Governo incoraggia “gli Amici” del Burkina a cogliere le numerose opportunità che offre il Paese e a continuare a venire ad investire i loro capitali, garantendo protezione e sicurezza. Anche noi vorremmo dire ai amici quanto saremmo felici di accoglierli. Intanto ringraziamo per le vostre preghiere per noi, il Progetto che stiamo portando avanti grazie a voi,  e per il Burkina Faso.

“Non era più possibile atterrare a Ouagadougou”. Il racconto di Luisella Paoli

l volo da Parigi era stato veramente tranquillo e il capitano stava dando le istruzioni per l’atterraggio a Ouagadougou: l’aereo era in orario e le luci a terra ci facevano intravedere la capitale sotto di noi. Poi un primo ampio giro, poi ancora uno mentre le luci della città di allontanavano e l’annuncio del capitano che non ci era possibile atterrare a Ouagadougou per problemi non definiti e che ci veniva consigliato di raggiungere Niamey, l’aeroporto più vicino. Parole accolte con un leggero mormorio tra i passeggeri: il Burkina Faso nei mesi scorsi ha vissuto momenti difficili con il tentativo di colpo di Stato ma ora, ad elezioni avvenute a fine novembre ed eletto il nuovo Presidente, tutto stava riprendendosi. “Sarà qualche manifestazione da parte degli studenti universitari” qualcuno azzarda a dire. Intanto il volo puntava sulla capitale del Niger dove arrivavamo alle 22: immediatamente ciascuno di noi ha messo in funzione il proprio telefono per avvisare chi ci aspettava all’aeroporto. Avviso Ivana che sono a Niamey e lei, via messaggio, mi informa che c’è stato un attentato al Caffé Cappuccino e all’Hotel Splendid..Tra i passeggeri c’è sconforto e tanta verso gli autori di tale atto barbarico. Ci sono diverse mamme con bambini piccoli, vicino a me una neonata di 30 giorni: il disagio per loro è grande, ma non ci sono lamentele, le hostess si prodigano per venire in aiuto ma non ci è stato concesso il permesso di scendere.Dopo due ore, il capitano ci annuncia le due possibilità: volare su Parigi per un rientro o verso Lomé in Togo. Viene scelta la seconda proposta, anche perché la maggior parte dei viaggiatori è burkinabè e gli altri hanno impegni di affari o lavoro in Burkina Faso, quindi interessati a restare in Africa in attesa che si risolva la situazione.Dopo mezzanotte siamo nuovamente in volo. Atterriamo in piena notte e all’aeroporto che è stato mobilitato molto personale per accogliere quasi trecento 300 persone inaspettate. Docilmente in fila procediamo alla disinfezione delle mani, al controllo della temperatura, riempiamo moduli per la Sanità – la prevenzione per il virus Ebola – e altri per lo sbarco e per la richiesta del Visto d’entrata in Togo. L’attesa per le pratiche alle 2 di notte sembra molto lunga e non ci sono posti a sedere perché ci troviamo nello spazio transiti. Solo una persona indispettita manifesta apertamente il suo fastidio, mentre con rassegnazione tutti noi aspettiamo, con il pensiero rivolto ai fatti di Ouagadougou, di cui sappiamo ben poco.Ci viene consegnato il Visto e l’assegnazione all’hotel che ci ospiterà per quel che resta della notte. I due pulmini dell’hotel Eda Oba fanno la spola per accompagnare gli ospiti, ma i posti sono pochi, 15 per viaggio, e più di 200 persone verranno alloggiate nello stesso hotel. Quando arriva il mio turno sono le 3 passate e, come me, anche le altre persone manifestano segni di stanchezza, ma l’umorismo regna ancora.Entrando nella hall dell’albergo, lo sguardo viene catturato dal grande schermo televisivo che trasmette in diretta gli avvenimenti di Ouagadougou. Non ci sono parole, sembra incredibile… Nessuno ha voglia di commentare ma si legge una grande tristezza sui volti di ciascuno.Il mio primo pensiero è stato per le vittime, per affidarle alla Misericordia Divina, poi una domanda: perché degli esseri umani possono uccidere spietatamente altri esseri umani? Come delle persone provviste di ragione infrangono i principi etici di rispetto della vita, sfidando anche l’istinto che, bene o male, ti porta alla conservazione della vita? Con questi pensieri mi sono coricata alle 4.30 del mattino, quando il gallo già cantava e il muezzin chiamava per la preghiera del mattino. Come me molte persone hanno dormito poco o niente e presto ci siamo ritrovati nella hall dell’albergo a seguire gli avvenimenti alla televisione. Purtroppo le notizie non sono buone, è aumentato il numero delle vittime e la sparatoria è ancora in corso.Solo alle dieci del mattino ci viene comunicato di prepararci per raggiungere l’aeroporto. L’imbarco avviene verso mezzogiorno ma solo alle 14.30 si parte con destinazione Ouagadougou. Una mezz’ora prima dell’atterraggio il capitano dà le disposizioni di prassi ma, ultima emozione, la discesa è veloce e il rumore dei motori ha qualcosa di strano. Un silenzio assoluto tra i passeggeri, mani tese sui braccioli, preparo il cuscino sulle ginocchia, come consigliato. Sono minuti eterni, dai finestrini vedo solo un cielo oscurato dalla polvere sospesa dal vento harmattan, poi il rumore cambia, i motori riprendono normalmente e si procede all’uscita dei carrelli e all’atterraggio, salutato da un applauso. Seppur frastornata, è una gioia uscire all’aperto, vedere mani che salutano, volti conosciuti e a tua volta salutare chi è venuto a prenderti, nel mio caso Ivana e suor Michela.Non passiamo davanti al luogo dell’attentato perché la strada è sbarrata e rimarrà tale per diversi giorni.