Bisogno di sviluppo industriale e nuove opportunità

La politica è sempre stata rivolta al futuro cercando percorsi nuovi con la certezza che il domani sarebbe stato sicuramente migliore del passato e del presente, ottimismo e sicurezza nel progresso, più o meno prudente a seconda dell’ideologia. Oggi, a causa soprattutto della pandemia in atto, si parla di “resilienza”, di resistere e di recuperare una condizione che il mondo di oggi sta mettendo in pericolo. Tutti, non solo la politica, ci stiamo orientando verso la conservazione di un passato messo in discussione dalla globalizzazione e dalla crescita economica che ha fortemente diminuito quella sensibilità sociale che era alla base delle rivendicazioni sindacali effettuate negli anni. A livello occupazionale questo modo di pensare si traduce nel continuo prolungamento del blocco dei licenziamenti. Corretto e giustissimo, “che tutto rimanga a bocce ferme”, come si diceva una volta durante le crisi che accompagnavano i processi di ristrutturazione.Purtroppo, però, non bastava allora e ancor di più non basta oggi. La cassa integrazione non è garanzia di futura occupazione. Occorre che venga posta in essere, a sostegno delle imprese, una politica nazionale di sviluppo industriale che non rimanga lettera morta ma si concretizzi in nuove opportunità di lavoro per i giovani e i meno giovani.E il nuovo anno, a tale proposito, non sembra iniziare sotto i migliori auspici. Fermo restando il problema pandemico (che non può essere l’alibi per l’inattivismo), l’elaborazione di un piano di ripresa complessivo, peraltro assente da lungo periodo, sembra ancora non esserci, il che sicuramente non è foriero di quel salto di qualità necessario per il riavvio di una reale e continua produttività. Un piano che riveda anche, e soprattutto, la politica delle modalità di assunzione e della gestione della forza lavoro (personale interinale, appalti, subappalti, ecc.) che non è chiaro se è solo indice di sfruttamento o conseguenza dell’assenza di prospettive industriali a lungo termine o entrambe.Va da sé che se il quadro nazionale di riferimento è questo, la situazione locale non può essere migliore anche se le grosse industrie sembrano attualmente non risentirne.La pandemia ha colpito prevalentemente il settore dei servizi e le medie e piccole imprese lasciando relativamente inalterati i portafogli ordini di quelle maggiori.La Nidec, che ha recentemente acquisito commesse per oltre 50 milioni di dollari per macchinari per il trasporto di acqua in Arabia Saudita, non si fermerà per Natale. La SBE, ripresasi dal lock-down iniziale, lavora a pieno ritmo anche se farà pausa per una decina di giorni. Discorso a parte per la Fincantieri che sembra per il momento non risentire delle conseguenze della pandemia sulla produzione delle navi. Ma per quanto? È di domenica 20 dicembre u.s. l’appello del Santo Padre per i 400.000 marittimi, attualmente imbarcati, che non possono lasciare, causa pandemia, le loro imbarcazioni. E questa situazione non può certo riflettersi positivamente sulle navi da crociera dove si va per scelta. Per quanto ci sarà il fermo crociere? Riprenderanno i viaggi in mare? Le navi in costruzione avranno un seguito? Sembra ormai naufragata anche l’alleanza con la francese Chantiers de l’Atlantique operazione che avrebbe fatto nascere il gigante europeo dei mari.Ricordiamo, solo per non dimenticare il passato, che in questi giorni è stato dato risalto alla notizia dell’avvenuta rottamazione della nave simbolo “Crown Princess”, che nel 1989 aveva dato il via alla ripresa produttiva della Fincantieri.Monfalcone, e con essa l’isontino, rimane comunque un polo industriale di estrema importanza che potrà essere maggiormente valorizzato dallo sviluppo del porto. No, quindi portualità alternativa all’industria (con i vasti terreni adiacenti a disposizione degli operatori marittimi, come sembrerebbe essere stato pronosticato) ma portualità e industria che si sviluppano di pari passo. E non va dimenticata l’attuale querelle inerente le nuove concessioni proposte dalla nuova Autorità di sistema che potrebbe avere effetti negativi sul rilancio del porto e conseguentemente sull’occupazione.