VI^ domenica di Pasqua

Il Vangelo di domenica 10 maggio

8 Maggio 2015

Il brano offerto dalla Liturgia di questa sesta domenica di Pasqua è ripreso nuovamente dal Vangelo di Giovanni ed è in continuazione con quello della metafora della vite presentato domenica scorsa. La fecondità dei tralci viene dall’essere collegati a lui o dal rimanere, “dimorare”, in Lui. O meglio. Questa “seconda parte” ci invita a rimanere in Cristo perché solo così la nostra gioia sarà piena, abbondante. Il portare frutto inizia da noi. Il verbo “rimanere”, infatti,  è usato più volte nel Vangelo d’oggi ed esprime continuità e profondità di rapporto contro la tendenza alla superficialità, emotività o all’usa e getta così prevalente nei rapporti oggi. Dice Silvano Fausti: “la parola dimorare, cara a Giovanni, richiama relazioni, affetti, amore. L’uomo dimora dove ha il cuore: abita dove ama, è di casa in colui che ama. In Gesù, Figlio dell’uomo e Figlio di Dio, anche noi siamo figli, rivolti verso il seno del Padre. L’unione con Dio non è vago affetto, una speculazione esoterica o un’illuminazione intellettuale: è vita concreta, spesa nell’amore per i fratelli. L’amore si prova coi fatti più che con i sentimenti e le parole… Dimorare nel suo amore ci rende figli di Dio, ci rende capaci di portare frutto, di amare i fratelli con lo stesso amore.”Solo rimanendo in Lui, innestati “come il tralcio nella vite” potremo osservare i suoi comandamenti che possiamo tradurli come il cercare di mettere in pratica la Parola, la Parola di Gesù.Nel brano di oggi, il discorso si svolge come in un catena di espressioni che si richiamano e si specificano sempre di più.  Ecco allora che da rimanere si passa all’osservare/vivere la Parola che ci porta a sperimentare la bellezza dell’essere amico di Gesù, a conoscere il senso profondo della sua missione ed il significato della sua vita.Ecco, allora, che la parola chiave del discorso è il “come”: come io ho amato voi, così anche voi amatevi gli uni gli altri… È perché ho fatto esperienza di Gesù che mi accoglie, che trovo la forza di amare gli altri gratis… fare dell’altro un valore così grande da dare la vita per lui.La parola “amore”, così banalizzata nella nostra cultura contemporanea, viene rivista in forma concreta: amare è dare la vita senza se e senza ma.Ma questo per noi è possibile?È sufficiente un po’ di onestà per dire che non ne siamo capaci da soli, ma sarebbe un segno di grande sfiducia nei confronti di Dio dire che è impossibile. Vorrebbe dire dare del crudele a Gesù che ci ha comandato di amarci gli uni gli altri come egli ha amato noi; oppure anche del fallito, dal momento che ha dato la sua vita per questo; oppure infine dell’ingenuo, visto che ci ha scelti per portare un frutto di amore che rimanga. Dare la vita non è semplice né piacevole: altruismo compiaciuto, buonismo e filantropia non ne sono nemmeno un pallido riflesso. Dare la vita significa rafforzare di giorno in giorno in noi una scelta, cioè la stessa scelta di Gesù. E come la si rafforza? Chiedendo e accogliendo con Fede e riconoscenza il dono dello Spirito Santo. La vita e le parole di Gesù, la sua morte e risurrezione ci hanno preparato a questo immenso dono che non ci lascerà soli lungo il cammino, ma ci permetterà vivere il grande comandamento del Signore. Ecco la vera gioia: sentire che Cristo ha fatto questa scelta per noi e che in noi questa scelta cresce di momento in momento, mediante l’ascolto del Vangelo e la contemplazione piena di meraviglia di tutto quello che Dio ha compiuto per trasmetterci la sua vita e il suo amore. La sua gioia sarà noi, la nostra gioia sarà piena.