IV^ domenica del T.O.

Il commento al Vangelo di domenica 31 gennaio 2016

29 Gennaio 2016

La Parola di questa domenica c’invita a ritornare nella Sinagoga di Nazareth. Ognuno di noi é chiamato a schierarsi di fronte a Gesù ed al suo “oggi”. E non è una cosa semplice, specie se ci viene chiesto di mettere in discussione le nostre certezze sulla Fede in Dio.Interessante le reazioni della gente in sinagoga… Da “tutti gli rendevano testimonianza” a “tutti furono pieni di sdegno”… Cristo divide ma, sopratutto, mette in evidenza i sentimenti di chi lo ascolta. C’è il rischio, anche per noi, discepoli del III millennio, di diventare esperti del sacro per cui   la novità del Vangelo (l’oggi del Vangelo) ci dà fastidio: difendiamo una religione che serve più a noi stessi che a Dio stesso!Ed é interessante che fin dagli inizi dell’attività pubblica di Gesù, un Dio scomodo non lo vogliamo e, quindi, in fondo, é meglio eliminarlo, farlo fuori dalla nostra vita: ma come si permette questo falegname ad insegnarci come vivere la nostra Fede? Passano i secoli ma le dinamiche del nostro cuore sono sempre le stesse… Quando una parola o la Parola ci dà fastidio vogliamo eliminarla, magari sminuendola e ridicolizzandola.In questo contesto, va evidenziata la figura del profeta (cfr la prima lettura)… Non dice parole sue ma é strumento di Dio per spezzare, talvolta, le convinzioni errate del credente.Anche noi, oggi, abbiamo bisogno di profezia e di profeti, di posizioni scomode ed all’apparenza irriguardose per mantenere vivo il carisma fecondo del Vangelo. È bello che ancora oggi ci siano dei cristiani che, sentendo di appartenere alla Chiesa, compiono scelte di pace e di giustizia a volte estreme che richiamano tutti, cristiani in primis, ad attualizzare il Vangelo.Se perdiamo il senso della Profezia, se non ci lasciamo scuotere dal Geremia di turno, se non abbiamo il coraggio di ricordarci che, pur discepoli, siamo in continua conversione, rischiamo di allontanare Gesù dalla nostra vita e dalla Chiesa o, peggio, di buttarlo giù dal precipizio perché non la pensa come noi.