Maia Monzani: un’empatica vitalità
A partire dai primi Maia Monzani anni ’50 è stata un personaggio di spicco nel mondo culturale, in regione e ben oltre.

Una donna vivace ed aperta che a novant’anni suonati era capace di calcare il palcoscenico interpretando, in una recitazione quasi interamente a memoria "Le ultime lune" di Furio Bordon, nella versione al femminile che Mario Brandolin aveva adattato per lei.
Alla notizia della sua morte, alla vigilia di ferragosto, hanno doverosamente trovato posto nei quotidiani locali i riconoscimenti della sua bravura come attrice, della sua preparazione come insegnante di dizione e come logopedista, della sua partecipazione esperta e vigile a tutte quelle attività - fossero accademiche e/o amatoriali - che precedono e preparano le manifestazioni teatrali.
L’ho ammirata anch’io come attrice versatile, ma aggiungo che ho avuto modo di conoscerla un po’ più da vicino anzi di percorrere con lei una piccola parte del mio percorso professionale e di volontariato. Ho sperimentato la sua empatica vitalità sorretta dal bisogno di comunicare, di intessere relazioni, di esplorare situazioni nuove, sconosciute, magari proprio perchè inedite.
Aperta al nuovo, ma attenta al discernimento e "giustamente rigorosa" (espressione efficace che riprendo da Claudio De Maglio, direttore Accademia Arte Drammatica Nico Pepe Udine). Per la signora Monzani, la franchezza si condensava nella espressione "Dico sempre quello che penso e, se sbaglio, chiedo scusa " come le aveva trasmesso il nonno, figura centrale della sua infanzia.
Erano gli anni 80.
Ci siamo incontrate nel complesso ambiente della Scuola Speciale per alunni handicappati funzionante per molti anni presso l’Istituto Santa Maria della Pace di Medea: io, come responsabile della scuola pubblica e quindi coordinatrice del gruppo degli insegnanti e lei, come specialista della riabilitazione comunicativa degli alunni nonché docente nel Corso di Specializzazione per insegnanti di sostegno. In un intrecciato rapporto di competenze non facile da gestire, ma ricco di opportunità formative sia per i ragazzi sia per i loro insegnanti.
Lei, precisa e sicura nella lettura del profilo diagnostico degli alunni con plurihandicap (purtroppo tutti!) riusciva a cogliere "l’aria" di apertura e di impegno che caratterizzava il non facile lavoro degli insegnanti ed allora sapeva mettersi in confronto con un gioco di reciprocità che si traduceva nei ragazzi con effettivi miglioramenti nel comportamento e nei risultati scolastici.
Quando il suono, prima inarticolato, con l’esercizio riabilitativo riesce a diventare parola, una sola parola... il canale della comunicazione si dischiude! Mi è capitato di assistere a questa meraviglia, che rappresenta una conquista per il ragazzo, per la logopedista e per l’insegnante di sostegno.
Ma altri "spezzoni di vita" abbiamo vissuto insieme ad Assisi, nella cornice accogliente della Pro Civitate Christiana, dove con mio marito ho accompagnato una Maia che attraversava un periodo di dura sofferenza per la morte del marito Antonio.
E poi di nuovo, parecchi anni anni dopo, quando è morta anche la figlia Adriana, Maia mi ha mostrato come si può affrontare con determinazione anche questi dolori e portare "dentro di sé" la forza di una memoria viva dei nostri defunti.
Negli anni 90, Maia si è interessata alle attività di aiuti umanitari che mio marito Renato organizzava a nome della Caritas Goriziana con un gruppo di volontari in favore di un piccolo orfanotrofio di campagna nel Nordest romeno, appena uscito dalla dittatura di Ceausescu.
Si stava progettando un campo di lavoro estivo per la costruzione di un’aula didattica, dove quella ventina di bambini dai due ai cinque anni avrebbero potuto svolgere attività motorie e di apprendimento prescolastico. In contemporanea, si cercavano volontarie educatrici per far provare ai piccoli l’esperienza del gioco da soli e nel piccolo gruppo, tanto a tavolino quanto nei grandi giochi in giardino, appena arrivati sul Tir degli aiuti che avevamo caricato in Italia.
Maia Monzani si è proposta di collaborare e, nella misera cornice del Leagan di Raducaneni l’ho vista emozionarsi nell’aiutare quei piccoli a lavorare con la plastilina, a incastrare i Lego, a sfogliare i libretti di immagini e parole preparati appositamente per loro dalle maestre delle nostre scuole materne.
Alle prese con bambini abituati a essere trattati con modi bruschi, perciò diffidenti con gli adulti, aggressivi tra di loro, sempre attenti a catturare l’attenzione su di sé, Maia non ha avuto esitazioni, mi ha chiesto:"Cosa facciamo?" e ha tirato fuori la sua speciale capacità di farsi capire!
Grazie, Maia ! Ci hai lasciato orme di generosità e di bene...