Ricordi esitivi di quando la fantasia contava ancora

Mi sono riaffacciato allo sport a livello giovanile dopo parecchi anni, nella speranza di ritrovare l’ambiente che ho sempre amato. Ho resistito tre anni poi non ce l’ho fatta più e son scappato. La ricerca costante della perfezione, gli allenatori che si servono di computer per elaborare i dati, ragazzi che devono sorbirsi prima degli allenamenti dei video degli avversari della prossima partita. Ne ho viste di tutti i colori.Che fine ha fatto il mio sport da spirito libero? Non esiste più, oppure sono io che son stato sfortunato a trovare solo le realtà sopra descritte? Dai due, massimo tre, allenamenti da un’ora e mezza siamo passati in certi casi ai quattro settimanali da due ore; quasi peggio dei professionisti. Allenamenti che iniziano a fine agosto e si concludono a fine giugno, in certi casi a metà luglio. E poi i campi delle società professionistiche che vengono allestiti al mare, ai monti, in città. Specchio per le allodole di genitori prima e ragazzi poi. Se uno è bravo viene cercato e non va a proporsi; meno male che questa regola vale ancora in questo mondo sportivo.Quando giocavo a calcio, ma posso benissimo parlare dei miei coetanei impegnati negli altri sport di squadra come pallavolo, hockey pista e pallacanestro, se elenco i maggiori sport cittadini degli anni Settanta e Ottanta, ad farla da padrona era la fantasia.I nostri allenatori, tutti preparati e con passione, ci insegnavano la tecnica e non la tattica, dandoci poi la possibilità di far vedere la nostra fantasia sui campi da gioco. Il più bravo, il più dotato emergeva sempre e l’avversario di turno a lui si inchinava, senza voler a tutti i costi tarpargli le ali con entrate assassine al limite del codice penale, come succede spesso anche nelle partite giovanili.Ora conta vincere a tutti i costi, una volta contava un pochino meno di adesso, quantomeno la sconfitta non veniva vissuta come un dramma. Ma il periodo in cui si cresceva sicuramente di più era durante la pausa estiva, che come il periodo scolastico di allora iniziava a metà giugno e finiva ai primi di ottobre. A Sant’Andrea, alla Juventina, gli allenamenti iniziavano dopo il periodo della vendemmia. Erano anni in cui sia chi ci allenava, sia noi ragazzini di 10-12 anni eravamo impegnati in questo, ed erano giorni di festa dove le famiglie i loro amici si riunivano attorno ai filari. Anch’io ne ero partecipe con grande gioia e ne serbo cari ricordi, ma purtroppo nessuna fotografia.In quei tre mesi di sosta agonistica, la passione non andava certamente in soffitta: anzi proprio in quei giorni il tempo che le dedicavamo triplicava, passando interi pomeriggi sul campo della Juventina, con l’erba alta a volte 30 centimetri, in quanto veniva tagliata, rigorosamente con la falce, ogni mese e mezzo, oppure sul campetto parrocchiale di asfalto ruvido e sconnesso a giocare a pallacanestro, dove a ogni scivolata a terra lasciavamo un pezzetto di noi!Per i più arditi – io ero uno fra quelli – non mancavano le gare fra amici con improbabili e svariati tipi di biciclette, dalla mitica “Graziella” a quella cross o alla bici tipo corsa (io avevo una Motobecane con copertoncini); con salite temerarie verso il San Michele (per noi era il Pordoi) e successive discese che a volte terminavano ben prima di arrivare a valle, in mezzo agli alberi o ai cespugli. Che sfide emozionanti e quanti eravamo.Ora ogni tanto prendo il pallone da basket e vado ancora in parrocchia a fare un paio di tiri, ragazzini non ne vedo, e quei pochi che mi capita di incontrare sono quelli come come me, che ragazzini lo erano una volta. Pensandoci bene, che fortunati siamo stati ad aver vissuto quegli anni in maniera spensierata, e a volte pure selvaggia.