Zmaka / Terra

Siamo giunti all’ultimo atto del Festival di Teatro sociale “Per un teatro vulnerabile”, realizzato da Fierascena con il sostegno del comune di Gradisca d’Isonzo. Dopo “Io guardo spesso il cielo / Nuclei leggeri di vita e teatro” performance presentata dagli ospiti della Casa albergo Fondazione Osiride Brovedani; “Dentro”, serata di riflessione sul Teatro in carcere; “Favola” spettacolo teatrale realizzato in collaborazione con il C.I.S.I di Gradisca d’Isonzo, sabato scorso è stata la volta di ZMAKA -Terra in lingua pashtun -, con la partecipazione di un nutrito gruppo di richiedenti asilo del C.A.R.A di Gradisca d’Isonzo. Tutto il festival è stato un crescendo di emozioni, di spunti di riflessione, di provocazioni, di poesia…La serata finale ha visto in scena circa quaranta richiedenti asilo del C.A.R.A., provenienti per lo più da Pakistan, Afganistan e Nigeria, coinvolti in un laboratorio di due mesi, affiancati da dieci attrici italiane, con la regia attenta e puntuale dell’instancabile Elisa Menon. Scopo di questo percorso teatrale, iniziato a maggio, che ha alle spalle una storia ormai triennale, è quello di “aprire uno spazio di incontro e riflessione sulla questione delle migrazioni per osservare questo fenomeno da tutti i punti di vista e sintetizzare le possibilità e le implicazioni dell’accoglienza”.La cura della parte sonora e dei canti presenti nello spettacolo sono stati affidati a Gaetano Fidanza, accompagnato dalla sua fisarmonica, artista leccese che da anni lavora per l’integrazione attraverso la musica. Al suo fianco anche Ahmed, giovane rifugiato che segue da tempo Gaetano nel progetto di “Rapsodia di voci”, associazione impegnata a realizzare un laboratorio musicale di integrazione a favore dei richiedenti asilo nel territorio pugliese.”Il lavoro procede – annotava il Fidanza nel suo blog al secondo giorno di laboratorio. – È un momento delicato e bisogna promuovere un avanzamento nella qualità e nella concentrazione. Emergono le prime immagini, scene molto forti. 40 corpi in scena sono un’energia molto potente. Elisa Menon, Marco Fabris e Fierascena hanno un modo di lavorare attento e sensibile. Ci troviamo spesso in accordo e questo non era scontato. Credo verrà fuori uno spettacolo bello e dignitoso.”In realtà il numerosissimo pubblico presente – la corte Marco d’Aviano era strapiena come non mai – ha potuto assistere ad uno spettacolo straordinario, denso di momenti forti, emozionanti, ricchi di significato, di poesia… Ad iniziare dalla prima scena, quando il pubblico era ancora in strada: il gruppo di attori è avanzato lentamente dall’interno e si è presentato al di là delle sbarre del cancello chiuso, ripetendo in coro un suggestivo inciso musicale. Per una volta eravamo noi “fuori”, in attesa di entrare, ansiosi di guadagnarci la nostra sedia, di prenderci il nostro posto…Quando si parla di migranti facilmente si pensa al mare, all’acqua, ai barconi. Il racconto messo in scena ci ha condotto invece “a percorrere il viaggio per terra, quello fatto a piedi, o sui camion, o sotto i camion, passo dopo passo, nel deserto, nella foresta, con la terra nelle scarpe.” La terra è stata protagonista della performance, era sparsa ovunque sulla scena. E un fazzoletto con dentro della terra è stato donato alle persone del publico, con un gesto davvero commovente, a conclusione dello spettacolo. Ma sono stati tanti i quadri significativi, che però le parole faticano a descrivere e senz’altro non riescono a restituire l’emozione che le immagini trasmettevano al pubblico e che si manifestava anche in qualche lacrima trattenuta a fatica: la scena della danza corale, il suono della fisarmonica che culla i cinquanta attori distesi a terra e di colpo li risveglia e li richiama in vita, il ventaglio di contenitori di fortuna dalle forme più disparate esposti su un tavolo, la lenta distribuzione di po’ d’acqua, il via vai affannoso e senza meta, lo spegnersi lento e inesorabile delle luci che attraversano un quartiere…Significativi anche, non solo di circostanza, gli interventi a conclusione dello spettacolo. Hanno preso la parola l’assessore regionale alla cultura Gianni Torrenti, gli assessori di Gradisca Francesca Colombi ed Enzo Boscarol, la responsabile del C.A.R.A. – che ha letto tra l’altro una lettera inviata dal Viceprefetto -, il musicista Gaetano Fidanza, la regista Elisa Menon e Marco Fabris. Toccanti le parole di due ospiti del CARA, che hanno improvvisato un caloroso ringraziamento agli organizzatori e animatori di questa loro esperienza di integrazione e alla città che li ospita. Significativa la spontanea esplosione liberatoria di gioia di tutti i protagonisti della serata alla fine della performance e gli abbracci e scambi affettuosi tra tutti i partecipanti al lungo percorso di preparazione: la rappresentazione simbolica dell’integrazione, il senso del teatro “con” e non “per”… Tra il pubblico erano presenti anche don Alberto De Nadai e la consigliera regionale  Silvana Cremaschi.Lo spettacolo messo in scena – è stato sottolineato negli interventi – è la parte finale di un lungo lavoro di preparazione fortemente centrato sul corpo. “L’allenamento del corpo inteso come strumento di conoscenza dell’altro e del mondo, capace di dialogare nonostante le diversità culturali e linguistiche, è stato la base del lavoro. Attraverso questo allenamento è stato possibile arrivare alla vicinanza, alla prossimità, anche culturale ed emotiva, a quel contatto ravvicinato che da quattro anni a Gradisca si prepara. Partendo dal linguaggio del corpo si è riusciti dunque a sviluppare un dialogo culturale ed esistenziale profondo in grado di riflettere il sentire di chi parte e di chi rimane, di chi arriva e di chi accoglie: lo strumento del Teatro diventa perciò valore comune, utile per chi partecipa, ma anche per chi assiste come pubblico all’evento finale che trasmette e apre il lavoro fatto, alla visione comune. Lo scopo del progetto è quindi quello di fornire a tutti elementi utili ad affrontare questo fenomeno: non un Teatro per i richiedenti asilo ma un Teatro con i richiedenti asilo capace di essere occasione di riflessione e lavoro per tutta la Comunità.””Nel nostro lavoro – spiega la regista e animatrice del gruppo – cerchiamo sopratutto un contatto umano, lo cerchiamo al di là della propaganda, dello scontro, del dibattito, lo vogliamo senza interferenze, lo vogliamo vero, e per averlo dobbiamo allenarci, dobbiamo essere pronti ad affrontare il pericolo e l’emozione, la fatica e l’incredulità, la meraviglia e la paura dell’incontro con l’altro. Possiamo farlo sulla scena, a patto di metterci in gioco, possiamo farlo alla fine di un lungo cammino, a patto di compiere ogni passo con le nostre gambe.” Significativa è stata quest’anno – senza dubbio frutto del lavoro degli anni precedenti – l’adesione massiccia sia tra i richiedenti asilo che tra giovani attrici italiane, “voci di giovani donne, così determinate a credere in un mondo migliore”.Un plauso va al Comune di Gradisca, che affronta con responsabilità la presenza sul suo territorio del centro di accoglienza realizzando numerose iniziative che possano essere laboratorio sociale capace di produrre cultura, valore comune, consapevolezza. Anche se, ha lamentato l’assessore Colombi, il numero dei richiedenti asilo presenti a Gradisca è eccessivo per una piccola cittadina che voglia fare un vero lavoro di integrazione.