Freevoices: il canto con la voce e con il corpo

Si è da poco conclusa la tournée in Argentina dei Freevoices, coro giovanile dell’Associazione InCanto di Capriva del Friuli. Il gruppo – che unisce ragazzi tra i 20 e i 26 anni e vanta una media di 40 concerti l’anno – ha avuto modo di vivere un’esperienza profonda e inebriante, non solo dal punto di vista artistico, ma anche umano. Abbiamo incontrato la direttrice, Manuela Marussi, che ci ha raccontato tutte queste emozioni, ancora “calde” e che sicuramente rimarranno indelebili.

Maestra Marussi, qual è stata la “scintilla” che ha fatto partire il progetto Freevoices?Il gruppo è sorto nel 2011, inizialmente per proseguire nel “post – liceale”. Io ho diretto per molti anni il coro del Polo liceale di Gorizia dove, all’interno di quest’esperienza, si era formato un gruppo legato da una chimica forte, che si sarebbe potuto ben prestare ad essere portato avanti in un percorso di maturità diverso. Alla fine del percorso liceale sono stati proprio i membri di questo gruppo a contattarmi, esprimendomi il desiderio di poter proseguire a cantare insieme.Il mio timore era un po’ quello che, per i cambiamenti che la fine delle scuole superiori portano nella vita di un giovane, ci fosse comunque una dispersione, invece al primo incontro si presentarono in  più di 20. Ho visto in loro il desiderio vero di proseguire e il fatto stesso che l’idea e la richiesta fossero nate per loro iniziativa, era un segno forte. Così abbiamo dato vita a questo coro giovanile, con un repertorio “pop” e adatto a ragazzi, implementandolo però di volta in volta con elaborazioni più complesse. Ad un certo punto il gruppo si è ampliato con nuovi ingressi, anche maschili, che prima mancavano un po’, diventando punto di riferimento musicale per i giovani da tutta la regione.

Il Freevoices si caratterizzano, oltre che per il repertorio, anche per il modo innovativo con cui propongono i brani, accompagnandoli con grande fisicità ed espressività. Che lavoro c’è dietro ciò che noi, spettatori, vediamo?Diciamo che una “svolta” per il gruppo c’è stata nel 2014 dall’incontro con Moni Ovadia e Lucilla Galeazzi, i quali espressero il desiderio di inserire, all’interno di un progetto da realizzare per il centenario della Prima Guerra Mondiale, la presenza di un coro composto da giovani che avessero la stessa età di quei ragazzi che, cent’anni prima, erano stati chiamati al fronte. I Freevoices sono entrati così in un mondo “sconosciuto”, sia per quanto riguarda l’aspetto musicale – quello della musica popolare -, sia per quanto riguarda il mondo professionale. Hanno reagito benissimo alla proposta, comprendendola profondamente. É stata quest’esperienza, unita ad un nuovo repertorio, che hanno dato la “svolta” al gruppo, facendogli capire come, nella quotidianità e con l’impegno, pur vivendo una vita “diversa”, si possano ottenere davvero grandi risultati.Accanto a questo si è concretizzata anche un’idea che avevo in testa da molti anni: realizzare un coro che si esprimesse non solo per mezzo della musica in continua ricerca, ma anche attraverso una determinata fisicità legata al canto, per coinvolgere lo spettatore con l’immagine di un gruppo che canta anche con il corpo. Nasce da qui la collaborazione, che dura ormai da tre anni, con Marco Rigamonti, coreografo milanese, con il quale si sono elaborano coreografie apposite per lo show choir. I ragazzi, due volte l’anno, prendono parte ad uno stage di coreografia su un tema specifico, dove sono presenti anche contaminazioni tra stili e generi.

Arriviamo alla vostra tournée oltreoceano…La proposta ci è arrivata direttamente dalla città di Avellaneda per le celebrazioni per il loro 140°. Il primo pensiero forse è stato “come faremo?”, perché spostare oltreoceano 30 persone richiede notevoli sforzi dal punto di vista economico in primis, in secondo luogo ci si poneva la domanda su cosa portare come “discorso” per una manifestazione del genere, quale filo conduttore proporre.Si è poi concretizzata, con Christian Canciani di Ente Friuli nel Mondo,l’idea di venire in contatto con altre comunità argentine oltre a quella di Avellaneda e abbiamo costruito un tour che viaggiasse attraverso comunità friulane su un percorso di circa 800 chilometri. Sono stati presi contatti con queste comunità, tutte entusiaste di poterci accogliere, soprattutto per la novità artistica dell’evento che saremmo andati a proporre.I ragazzi sono stati immediatamente entusiasti di poter fare un’esperienza, che ho voluto fosse premio per loro: mi sono messa alla ricerca di fondi (ringrazio ancora una volta tutti i privati e gli enti pubblici che ci hanno sostenuto) affinché i ragazzi potessero viverla come vera esperienza artistica, quello sarebbe stato il loro contributo al viaggio. Si sono sentiti carichi e pronti, dimostrando una serietà di preparazione e una professionalità costante lungo tutti i 9 mesi preparatori.Il programma presentato era in linea con il messaggio che volevamo essere: un gruppo di giovani provenienti da tutto il Friuli Venezia Giulia con una prima parte di repertorio dedicata alle nostre radici – che là, come emigrati, sentono molto – e una seconda dedicata all’Italia in una dimensione riservata alle sensazioni. L’ultima parte verteva poi all’internazionalità e questa e stata amatissima dai giovani, figli del mondo. Il filo rosso che univa tutto era l’idea dell’amore, dell’accogliersi e accettarsi, della dignità.

Parlando proprio di emozioni, di “umanità”, laggiù avete ricevuto un’accoglienza a dir poco calorosa…La gente ovunque ci ha abbracciato con tanto entusiasmo e forza, anche con un po’ di curiosità e stupore verso la proposta fatta; sono nati dei veri rapporti di amicizia che dureranno sicuramente nel tempo. I ragazzi hanno avuto la possibilità di entrare realmente nelle famiglie, sono stati accolti come figli. Dal parte nostra siamo stati davvero stupiti di come la comunità che ci ha accolto sia giovane, trentenni che parlavano con noi in friulano e ci raccontavano delle loro famiglie emigrate; per loro è un forte motivo di identità.

Quali sono state le cose forse più inattese che vi hanno colpito e che sicuramente rimarranno con voi indelebili?Certamente l’abbraccio disarmante di queste persone: ci è sembrato di essere arrivati a casa, sia per quanto riguarda la lingua, che per il modo di rapportarsi, senza formalità. Queste famiglie hanno letteralmente “preso” i ragazzi e accolti, coccolati e hanno creato, mettendosi insieme, dei momenti incredibili di unione, conoscenza della cultura della loro “friulanità” e di festa. Ci hanno accolti come se ci avessero sempre conosciuti e fossimo stati via solo pochi giorni. Devo dire poi che i ragazzi sono stati dei “guerrieri”, perché hanno risposto con una grande professionalità: hanno sentito su di sé la responsabilità di star mettendo in campo una reale esperienza artistica, dimostrandosi sempre preparati e mettendo in gioco ogni sera, in ogni spettacolo, il meglio di sé. È stata un’esperienza artistica inebriante.

Sicuramente i Freevoices non rimarranno fermi a lungo… quali i prossimi progetti o “sogni nel cassetto”?Durante la tournée abbiamo registrato un video, per raccogliere l’esperienza sia umana che artistica, che presenteremo in un evento che si svolgerà in marzo e sarà un modo per “chiudere” questa tournée.Abbiamo poi già molte proposte da tutto il territorio regionale e idee per nuovi progetti, ora valuteremo insieme il da farsi. Certamente proseguiremo con tutte le nostre forze: abbiamo realmente visto che, se qualcosa lo si vuole davvero, lo si può fare.